Il
tamburo di latta – Gunter Grass –
Feltrinelli – Pagg. 604 – ISBN 9788807880339
– Euro 15,00
Stamburare
e confessare
Non
c’è niente di chiaro, nulla di definito nel romanzo “Il
tamburo di latta”, ci sono invece le confessioni farneticanti
di un trentenne in procinto di uscire dal manicomio nel quale si
trova internato per una colpa non commessa: l’omicidio di
un’infermiera che vive in affitto nella camera accanto alla
sua. Lui ne era invaghito, come di tante altre infermiere della sua
stramba vita. Ora è assistito proprio da un infermiere, Bruno,
che quotidianamente lo scruta con occhio vigile, non è un
secondino però, semmai una coscienza vigile che all’occorrenza
può pure subentrargli nel suo atto di scrittura infinito
coincidente con la sua biografia. Una risma di carta gli conceda
Bruno affinché l’atto dello scrivere gli sia possibile
accanto a quello del raccontare. Sì, perchè Oskar
Matzerath ha tanto da raccontare ma, se non ci facciamo incantare
dalla sua epica diversiva, in realtà ha tanto da confessare:
tanti piccoli segreti che hanno deviato la sua vita imponendole un
corso forzoso. Il principale di essi è sicuramente la caduta
dalle scale ad appena tre anni, resasi necessaria come atto
risolutivo di imposizione della propria volontà per
determinare la fine della sua crescita. Da quel momento il piccolo
Oskar sarà un nano, dotato però di una potente voce
vetricida capace, quando contrariato, di urlare così forte da
infrangere i vetri e tutte le superfici vitree presenti nelle
vicinanze. La caduta si accompagna anche all'altro tratto distintivo
del piccolo Oskar: dal giorno del suo terzo compleanno sarà
sempre accompagnato da un tamburo di latta, ciclicamente sostituito,
capace di esprimere con la sua cadenza ritmica l’assurdo della
vita.
Scorrono
con i ricordi biografici di Oskar pagine di storia ben verificabili,
trent'anni racchiusi tra il 1924 e il 1954, la storia dei Casciubi,
la madre di Günter Grass era casciuba, quella della città
libera di Danzica, la tragica invasione della Polonia con la difesa
dell’ufficio postale della città che Hitler rivendicava
in seguito al trattato di Versailles e che rappresentò il suo
pretesto per innescare una guerra mondiale. Il conflitto mondiale e
la sua fine. E da subito si entra in una dimensione narrativa insieme
epica e fantasiosa, surreale e allucinata, simile a quella che solo
uno spettacolo circense può restituire, una carrellata di
personaggi improbabili, dalle caratteristiche esaltate, iperboliche,
eroiche insieme, capaci di gesta impensabili, mirabolanti eppure così
reali. Ne consegue uno stupore perpetuo, accompagnato da un continuo
e necessario livellamento dei due piani: quello della realtà
narrativa ( quanto può essere credibile ciò che si sta
leggendo?) e quello dell’immaginazione creativa ( spesso questa
componente subentra a livello tale da impattare prepotentemente con
la razionalità e richiedere così una necessaria seconda
rilettura, la prima ancora nulla aveva chiarito, per accertarsi di
aver ben compreso il filo narrativo). Oltre la fatica della lettura
si riesce però a godere di blocchi narrativi compatti che,
superati e accostati a formare un disegno complessivo, restituiscono
una narrazione comprensibile, consapevoli però di aver siglato
un patto narrativo che implica l’accettazione dell’assurdo
e del grottesco. Potrei richiamare tantissimi episodi che nulla
valgono estrapolati dalla loro cornice, basti aspettarsi di tutto,
compreso un certo trascendimento nel versante erotico a simboleggiare
le primitive matrici della vita e una narrazione che non manca
nemmeno di pesantissima dissacrazione, a scardinare qualsiasi
certezza rimettendo tutto in gioco. Una decisa voce fuori dal coro
che cercava di restituire i perchè di un’epoca buia, una
voce dissidente e antiborghese che nel ‘59 usò l’alter
ego di Oskar per rappresentare una realtà edulcorata da tanti,
riuscendo infine a svelarsi completamente nella sua scandalosa
biografia “Sbucciando la cipolla” ( 2008) quando confessò
dolorosamente di essersi arruolato volontario nelle Waffen-SS quando
aveva quindici anni, nel solo intento di ricordare a tutti quanto
fosse storica la spinta antiborghese su cui fece leva Hitler e quanto
si impresse pericolosamente nella gioventù tedesca.
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