Sìmina
ri mmernu - Semina d’inverno - Patrizia Sardisco
– Cofine – Pagg. 40 – ISBN 9788898370818
– Euro 12,00
Proteggere
le parole, sempre. Sono il mezzo più caratteristicamente umano
che abbiamo. E quando nessun altro mezzo ci consente di portare a
soluzione dei problemi, spesso le parole fanno miracoli. Le parole
dei poeti, nello specifico.
Patrizia
Sardisco, poetessa molto sensibile e attenta ai molti problemi del
presente, cerca di far sentire la propria voce attraverso i suoi
versi incisivi, incandescenti, duri come pietre, eppure molto chiari,
affrontando una tematica che è purtroppo di casa, frequente,
nella nostra bellissima isola, la Sicilia, specialmente nei
mesi estivi, quando il caldo naturale molto al di sopra del
sopportabile, serve a degli sciagurati come schermo per nascondere le
loro mani distruttive, appiccando subdolamente dei fuochi che in
pochi minuti annientano aree boschive, collinari, montane, con gravi
danni anche agli animali, dei quali sono habitat naturali.
Il
titolo di questa raccolta (di poesie-denuncia di comportamenti
inaccettabili) è paradigmatico nel senso accennato in apertura
di questa mia recensione: è necessario seminare e proteggere
le parole poetiche, dare loro ampi spazi di fecondazione e di vita,
affinché diventino stimolo alla riflessione e alle azioni
positive conseguenti.
Prendendo
come esempio l’agricoltura, si dà per scontato
che la semina invernale di alcuni prodotti, mentre dà
continuità all’operosità contadina, esige anche
un’attenzione particolare proprio riguardo alla protezione
delle piantine, con sistemi quali il riparo del terreno con teli
impermeabili per proteggere le radici e far mantenere il calore più
a lungo possibile, mentre la temperatura è bassa.
Eppure
le piantine che superano l’inospitalità del terreno
invernale hanno già una loro particolare resistenza, vanno
solo aiutate un po’.
E
traslando poi il discorso agricolo al mondo poetico, viene
spontaneo pensare che anche le parole dei poeti abbiano già in
sé una loro particolare resilienza, ma non sarebbero molto
efficaci senza un loro appropriato uso in contesti che richiedano una
speciale vigilanza, senza la protezione (affidata soprattutto ai
poeti) che le aiuti a “crescere” e a diffondersi.
Seminare
parole poetiche, come fa la poetessa Patrizia Sardisco con lo scopo
di far conoscere le conseguenze disastrose di atti così
incivili come il dar fuoco ad aree naturali estese, è infatti
un modo esemplare per scuotere le coscienze, per sensibilizzare le
persone alla responsabilità dei comportamenti, al rispetto
della natura, e per far sì che ognuno faccia la propria parte
nel tenere d’occhio l’ambiente e nel cercare così
di prevenire anziché subire comportamenti dettati solo e
soprattutto dall’ignoranza e dalla cecità di chi non si
rende conto che i danni recati alla natura si ripercuotono
inesorabilmente sugli uomini stessi e sulle loro attività.
Mette
in guardia, la poetessa, coloro che non sanno (e non pensano) quello
che fanno. Lo fa in particolare con una poesia-manifesto, che riporto
di seguito interamente, in quanto parla da sé (anzi “grida”!):
Opposto
del morire / è il pensiero / come la semina / è
l’opposto del tacere / il vento sa. / Dove
cuce, dove dipinge / dove non è rumore / né sbadiglio /
seminare è accendere la favilla / che comanda e chiede /
giustizia al suo destino / e intanto al buio tempra / la generosa
sostanza del legno / e solitudine di altezza e ombra / di foglie che
stanno al proprio posto / lungo tutto l’inverno / per chi le
guarda / per te che stai pensando a loro / in quest’istante.
(pag. 25)
“Seminare
è accendere la favilla che chiede giustizia al suo
destino e che al buio tempra la generosa sostanza del legno e lo
prepara a colmarsi di foglie che stanno (devono stare!) al loro posto
così che si possano ammirare, pensare, nella loro preziosa
funzione di vita per l’albero-madre e per l’ambiente
circostante”
Seminare
le parole poetiche, sempre, ogni volta che sia necessario, è
accendere la favella per dire quel che va detto, per non
tacere rendendosi indifferenti e quindi corresponsabili.
Il
poeta sa. Il poeta chiama a raccolta con la sua voce potente chi
ha a cuore le cose che ci ri_guardano, che ci sostengono se a nostra
volta le sosteniamo.
Sono
molto efficaci i versi delle poesie di questa breve ma
importantissima silloge/documento.
Ne
scelgo alcuni in particolare, perché mi hanno coinvolta in
maniera impressionante, con reazioni fisiche reali, come la pelle
d’oca, il tremore, la mancanza di respiro, l’assenza di
voce:
Di
colpo, con gli occhi pieni di neve / avvoltolati dalla vampa agostana
/ con la fretta stupita e vana delle bestie / col loro stesso
spavento dissanguato / pure così distanti / da loro e in salvo
/ vicini spalla a spalla con la notte / pure così lontani /
fuoco di fuoco sta gelando l’estate / così di colpo
avvoltolato inverno. (pag. 9)
Cenere:
non è più bosco / come qui questa lingua / soavemente
adagiata sulla carta / non è più lei, non dura / non
suda più, non reclama.//
Mi
empie il cuore di neve / l’ombra di questa mano che la sperde /
leggera a leggerla, forse / comunque inascoltata. (pag. 15)
E
ancora:
Portone
di deposito / che non so più chiudere / e adesso si lamenta,
scosso / mentre il buio s’insinua.//
Quest’inverno
greve non arretra / questa neve di cenere / è nel paesaggio e
negli occhi / un uguale fuoco / ma è la mia voce / il bosco di
tizzoni più agghiacciato / come quando le dita nella
ghiacciaia / il gelo si incolla e penetra / non si sentono più,
sembrano / estranee, ma messe in bocca bruciano. (pag. 10)
Ho
riportato le poesie nella traduzione in italiano, per rendere più
fruibile questa mia recensione, ma non renderei veramente giustizia
alla silloge se non sottolineassi il fatto che l’origine delle
poesie è il dialetto siciliano, lingua che oltre ad assegnare
una precisa identità a coloro che la parlano, ha una sua
specifica connotazione non facilmente trasponibile in italiano,
esattamente come avviene per le traduzioni in generale.
Con
un valore aggiunto, per il dialetto, in quanto esprime
concetti con un’immediatezza e una forza che non si
riesce a rendere in italiano, né in qualsiasi altra lingua.
Queste
caratteristiche (immediatezza e forza) credo attengano a tutti i
dialetti, in quanto essi hanno radici ancestrali che, se pure nel
tempo possano avere subìto delle modifiche dovute ai passaggi
generazionali e ai tempi che cambiano irrimediabilmente, mantengono
tuttavia una loro peculiare specificità storico-antropologica
che ne rafforza, più che indebolire o attenuare, le origini
stesse.
Pertanto
le poesie vanno lette nella lingua in cui hanno visto la luce, per
sentirle vibrare insieme alla voce della poetessa, per ascoltare il
tramestio l’affanno lo scombussolamento che avviene a tutti i
livelli, dalla consapevolezza della mente, al cuore, alla fisicità
tutt’intera, fino alla soglia dell’inconscio e forse
ancora più in profondità, nell’anima.
E
solo dopo, confrontare l’esito della lettura dialettale con le
poesie in italiano, per provare a comprenderle bene, per provare a
farle proprie entrando direttamente nello spirito del testo.
È
soltanto un breve excursus, il mio, in questa raccolta di poesie che
rimescolano il sangue, che fanno riaffiorare emozioni forti (già
da me vissute in prima persona), paure, ma soprattutto indignazione,
nel ricordare, ad esempio, la trasformazione di meravigliosi spazi
verdi, in arido e nero deserto di tizzoni che fanno da sfondo a un
paesaggio che sarebbe altrimenti da favola.
A
ciascun lettore spetterà poi il compito di addentrarsi nelle
poesie con le proprie personali sensibilità, seguendo le
proprie inclinazioni e disposizioni d’animo, interpretando o
semplicemente lasciandosi lucidamente trasportare nelle gelide
atmosfere prodotte dai fuochi, rilevando nel contempo le
“ossimoriche” situazioni descritte e, forse, impallidendo
nell’immaginare la disperazione di chi assiste, inerme, a
violenze così gravi (tanto più perché ripetute)
sugli ambienti naturali.
Un
grande plauso a Patrizia, quindi, che mette il dito su una piaga
ancora non guarita, su ferite gratuite e ancora aperte, inferte a una
terra che non merita niente di tutto questo, che andrebbe invece
preservata, resa migliore, feconda, non solo nell’ambito
naturale, ma più in generale, negli aspetti socio culturali,
negli aspetti di tradizione, di estetica antropologica, di etica
delle relazioni…
E
inoltre molte grazie a Patrizia per aver dato voce anche a me! E
chissà a quanti altri…
M.
Carmen Lama
|