RAINER MARIA RILKE
Esistenzialismo lirico
ed essoterismo
di Fabrizio Manini
Nella Lettera a un giovane poeta (1903) Rilke
dice testualmente: “un artista è tale se sa penetrare
in se stesso e giungere a quella profondità da cui balza infine la vita;
soltanto in questa fonte, da accogliere con semplicità, troverà una risposta
chi si sente chiamato alla creazione poetica”. Rilke
avverte l'opera d'arte come qualcosa di indefinito e di indicibile ed è questo aspetto
un po' misterioso che lo porta alla convinzione che gli avvenimenti e le cose
non si possono afferrare e raccontare secondo la nostra volontà. Della sua
Praga, amata e odiata allo stesso tempo, non sopporta l'atmosfera malinconica;
la città è ancora chiusa (soprattutto in senso intellettuale), fermamente
dominata dalla cultura imperialista austriaca. Anche se il nascente
nazionalismo boemo si faceva strada fra i pensatori, Rilke si allontana a tratti da quel luogo, spostandosi
inizialmente a Monaco, poi a Firenze, a Brema, a Parigi e infine nel castello
di Muzot, in Svizzera, dove rimarrà fino alla morte. Sebbene distante, in un primo momento egli pensa di continuo alla
sua terra e alla sua nazione: è questo amore-odio contrastato e taciuto che lo
porta a scrivere che “fa commuovere la melodia del popolo boemo:
si insinua leggera nel cuore e lo rende greve”. Ma negli anni successivi
Praga diviene gradualmente un ricordo da rimuovere: rappresenta, infatti, il
luogo di un'infanzia non felice, dovuta a una madre bigotta ed estremamente
rigida, a cui fa seguito l'esperienza degli obblighi
militari mal sopportati, imposti dalla famiglia presso l'accademia locale
(vicende descritte con tono accusatorio in una novella poco nota dal titolo L'ora
della ginnastica). Inoltre la vita lenta e cadenzata della città, per la
maggior parte del tempo priva di divagazioni, portava inevitabilmente a un
eccessivo sviluppo degli aspetti fantastici e medianici che la mente poteva
creare; in altre parole Rilke si avvicina molto
all'occultismo e allo spiritismo, entrando in perfetta e completa consonanza
con le riflessioni sulla cabala sviluppate da Kafka,
altro grandissimo scrittore praghese suo contemporaneo. L'aspetto significativo
è che l'unità a cui tendeva la sua poesia non era
affatto riconducibile alle figure irreali, lugubri e confuse volute dalla moda
spiritica diffusa nei salotti e nei circoli europei; i canoni tradizionali
dell'occultismo, a metà strada fra il religioso e il demoniaco, non lo
interessavano minimamente. Tutto questo perché l'eredità storica che la città
lasciò ai suoi poeti fu l'estasi mistica, lontana quindi dalle religioni
tradizionali e attenta a una nuova concezione del sacro.
Secondo Rilke la poesia non ha influssi né
doveri verso la realtà storica e sociale. L'opera d'arte, sia essa poesia o
qualsiasi altra creazione dell'ingegno umano, non è in grado di modificare
(neanche parzialmente) il mondo in cui viene a trovarsi e neppure può
migliorare il quotidiano. Una volta che essa ha visto la luce, rimane ferma
alla contemplazione degli uomini con la sua superiore indifferenza. Sin dalle Nuove
poesie, Rilke teorizza la centralità della
creazione artistica: l'impegno che ha il poeta è diventare cosa fra le cose,
cioè assumere la funzione di strumento inconsapevole e puro di quell'Assoluto che per suo tramite può
manifestarsi al mondo. In quest'ottica anche gli oggetti rimangono immobili, in
quanto devono essere solo osservati e non posseduti o spiegati. L'orrore della
prima guerra mondiale getta Rilke in un'angosciosa
prostrazione; le indicibili sofferenze morali (ma anche materiali) che vive e
che vede lo portano a modificare la sua poesia nel senso delle tematiche che
d'ora in avanti saranno incentrate soprattutto sulla morte e su tutti gli
aspetti annessi e connessi. È proprio con la morte dell'individuo che Rilke ritiene concluso il percorso con il quale si diventa
cosa fra le cose, poiché è solo dinnanzi all'estremo silenzio che si può
comprendere il limite invalicabile sia dell'artista, sia della verità della
parola poetica. A tal proposito sono esplicativi i Quaderni
di Malte Laurids Brigge,
romanzo-diario autobiografico pubblicato nel 1910; qui Rilke
racconta le condizioni dell'artista nell'età moderna in modo nuovo e originale,
descrivendo l'impossibilità di vivere attraverso le immagini brutali di una
metropoli (nel suo caso Parigi) che portano all'annientamento dell'individuo e
alla conseguente perdita d'identità; infatti, nonostante i progressi della
tecnica e l'avanzamento della civiltà, l'uomo continua a vivere sulla
superficie dell'esistenza. Di qui gli errori, le brutture e i desideri
che rievocano e richiamano l'esperienza della morte, sentita e interpretata
come il momento (forse l'unico momento) di suprema maturità.
Il testo che vi propongo è la parte iniziale della prima delle dieci Elegie
Duinesi; nel complesso il ciclo evoca
fantasmagoriche figure di angeli ritratte nell'angoscia di un mondo privo di
forma e di senso nel quale si avverte chiaramente la totale spersonalizzazione
dell'artista moderno.
Riferimenti: Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi, Fabbri Editori
Se pur gridassi, chi mi udirebbe
dalle gerarchie
degli angeli? E se uno mi stringesse d'improvviso
al cuore, soccomberei per la sua troppo forte presenza.
Perché nulla è il bello, se non l'emergenza
del tremendo: forse possiamo reggerlo ancora,
ed ammirarlo anche, perché indifferente
non degna distruggerci. Ognuno degli angeli è tremendo.
E mi trattengo così, e inghiottito
l'appello d'oscuri
singulti. Ah! chi
possiamo allora chiamare in aiuto?
Gli angeli no, gli uomini no, e i
sagaci
animali lo notano già quanto noi inadeguati
siam qui di casa nel mondo già interpretato.
Ci resta forse un albero là sul
pendio, che ogni giorno
possiamo
rivedere; ci resta la strada di ieri e anche
l'adusata
fedeltà ad una abitudine, che in noi
s'è intanata, è rimasta, e non se ne andò.
Oh, e la notte, la notte, quando il
vento colmo
di cosmici
spazi ci corrode il volto – a chi mai
potrebbe mancare
l'agognata, che sì dolcemente disillude,
essa, che di
fronte al cuore solitario penosamente
si leva? E'
forse più lieve degli amanti?
Il destino lo nascondono soltanto l'un l'altro.
Non lo sai ancora? Getta dalle tue
braccia il vuoto
fin dentro
gli spazi che respiriamo; forse gli uccelli
con volo più
intimo sentono l'aria così dilatata.