CHARLES BAUDELAIRE:
SIMBOLISMO E SINTESI
di Fabrizio Manini
La
personalità di Baudelaire (1821-1867) è sicuramente
al di sopra delle regole; la sua poesia si sviluppa in un momento di
transizione, mentre il Romanticismo sta perdendo la sua carica innovativa e
tendenze culturali alternative si insinuano in una società malata, dentro la
quale l'istituzione della famiglia borghese inizia a decadere. La stessa
famiglia del poeta è incredibilmente precaria: quando egli nasce il padre ha
già sessant'anni, mentre la madre si riaccompagna con
un uomo integerrimo, ma troppo severo, che rende ancora più insopportabile la
già cupa infanzia del figliastro. Questa situazione, in concomitanza con quella
di transizione dell'epoca, fa di Baudelaire forse il
miglior portavoce dell'abissale disagio che vive la società europea alla metà
del XIX secolo. Baudelaire riesce inizialmente a
liberarsi dall'oppressione familiare, grazie a centomila franchi ereditati dal
padre, e poi dai condizionamenti insopportabili del perbenismo borghese:
durante questo periodo vive nel lusso, veste elegante, prende parte a
ricevimenti e feste, non lavora. In compenso scrive moltissimo: nella scrittura
trova la cura per l'anima, proprio lui che si ritiene assolutamente inadatto a
qualsiasi attività e prova profondo disgusto all'idea di poter essere utile.
Tuttavia questa vita libera e solo apparentemente felice
dura appena due anni; perseguitato dalla famiglia, che incarna i peggiori
difetti della morale borghese (in particolare l'ipocrisia, la mancanza
d'affetto e la grettezza), perde ben presto il libero accesso al patrimonio e
si avvia verso una decadenza inarrestabile. Si sente totalmente incompreso
dalla Parigi perbenista e per questo si allontana verso il Belgio, dove spera
di trovare il guadagno e il successo con un ciclo di conferenze. Ma proprio
qui, a causa dell'alcool e della droga, invecchia precocemente fino a spegnersi
a soli quarantasei anni.
Baudelaire sfoga violentemente le sue angosce nei suoi
scritti. Il contenuto del suo capolavoro I Fiori del Male rappresenta il
massimo della trasgressione: egli esalta il tedio esistenziale come lo stato
d'animo che provoca sconforto e follia, descrive la depressione più nera e
celebra l'uso della droga, parla dell'amore nelle sue espressioni più carnali.
Era inevitabile che suscitasse le ire della società letteraria, e non solo. Baudelaire, in questo libro, parla di ciò che conosce
meglio, in quanto ha sperimentato sulla sua persona ogni esperienza che ha
messo in versi; aveva provato fino all'ultimo a fare di sé l'artista completo,
il poeta per antonomasia al di sopra delle convenzioni sociali, ma non al di
sopra della vita autentica e della gente più umile di Parigi. La sua
personalità fa si che la figura del poeta scenda dal
piedistallo e si mescoli alle folle di periferia, senza però perdere mai il suo
ideale e la propria sensibilità. È grazie a lui che la poesia si libera dalle
regole metriche e contenutistiche imposte fino ad allora dalla tradizione,
rinascendo più viva e ispirata dalla vita reale in un'ottica precorsiva del futuro che apre la strada all'esperienza
moderna.
Sotto
l'aspetto prettamente letterario, Baudelaire è
considerato il punto di riferimento dei poeti simbolisti francesi del secondo
Ottocento (Rimbaud, Verlaine,
Mallarmé, Valéry). Il
pensiero di questi autori vuole la natura come un insieme di simboli che non
hanno valore se presi singolarmente, ma che, all'interno di un contesto globale
e più ampio, rimandano a una realtà più profonda, nascosta e incomprensibile
agli occhi della gente comune, che solo il poeta, con la propria sensibilità,
riesce a decifrare. Baudelaire è il primo che espone
questa teoria in versi, nel sonetto Corrispondenze: secondo lui il
dovere del poeta è interpretare questi simboli, perché il volgo da solo non è
in grado di farlo, in quanto privo di cultura e della sensibilità superiore
degli artisti. È per questo motivo che la poesia deve rinnovarsi e abbandonare
gli schemi del passato; solo cambiando radicalmente potrà sollevare il velo che
ricopre l'universo e dimostrare così che il tutto è un infinito gioco di
corrispondenze. Partendo da questa convinzione, Baudelaire
riesce a creare un linguaggio nuovo, evocativo, a tratti anche oscuro, in cui le
suggestioni delle cose sono segnali della loro profondità e del loro
appartenere all'universo in tutte le forme.
La teoria
dell'analogia universale, comunque, è un pensiero che Baudelaire
ha ereditato dal Romanticismo d'inizio Ottocento: già
il filosofo Schelling (1775-1854) considerava la
natura un insieme di segnali che ne fanno un unitario organismo vivente. In Baudelaire quest'idea si accorda con quella del poeta come
artista totale che da sempre persegue: il poeta non deve limitarsi a comporre
versi, ma anche essere un interprete della realtà tramite i
più svariati mezzi, dallo studio della pittura (significativa è la profonda
amicizia con Eugène Delacroix)
all'immersione nei piaceri anche effimeri, della vita, fino alla frequentazione
dei bassifondi di Parigi. Per fare questo egli è sostenuto dalla sua
eccezionale sensibilità che lo porta oltre le brutture e la noia; quella
medesima sensibilità che però allo stesso tempo lo condanna irreversibilmente
perché, dando il meglio di sé nell'arte, nella vita quotidiana il poeta è
impacciato e indifeso. È quanto Baudelaire esprime
magistralmente nella poesia L'Albatro dove l'uccello dalle grandi ali
diventa il simbolo del poeta, superbo e incontrastato signore del cielo, ma del
tutto incapace di vivere sulla terra.