ARTHUR RIMBAUD
IL POETA
COME RIBELLE
di
Fabrizio Manini
La vita
di Jean Nicolas Arthur Rimbaud (1854 - 1891) si svolge in una
Francia dilaniata dalla guerra civile. Il 1870 è l'anno più tragico in
quanto i prussiani travolgono l'esercito imperiale e a Parigi avviene la
rivoluzione. Rimbaud, essendo nato nelle Ardenne, viene dalla provincia, ma la sua poesia si fa
subito interprete della letteratura del tempo, inizialmente accettandone lo
stile e i tratti tipici, successivamente modificandoli fino a stravolgerli per
conseguire una forma espressiva originale e innovativa di stampo modernista. La
sua formazione proviene in primis da Rebelais, Hugo, Baudelaire e dai Parnassiani, ma
molta importanza hanno anche autori socialisti come Proudhon,
Babeuf e Saint-Simon. Travolto
da una sorta di odio viscerale per tutto ciò che è regola e routine, trascorre
alcuni anni nella Ville Lumière, prima con le
esperienze della Comune, poi ospite in casa di Verlaine.
In una delle sue opere più celebri, Il battello ebbro del 1871, troviamo già
in embrione la sua concezione visionaria della vita e del mondo unita al motivo
del viaggio verso e attraverso luoghi esotici e tropicali, quello stesso
viaggio che poi realizzerà concretamente in Africa negli ultimi anni della sua
vita. L'incontro con Verlaine, che è già un poeta
affermato e apprezzato, avvicina Rimbaud agli
ambienti letterari, tanto che i due decidono di vivere insieme prima in casa di
Verlaine, poi a giro per l'Europa soprattutto in
Belgio e Inghilterra. Alcuni ritratti di Rimbaud lo
presentano come un giovane piacente e di bell'aspetto
per cui la sua relazione con Verlaine
viene tacciata di omosessualità. La presenza continuativa e ingombrante di Rimbaud distrugge il matrimonio di Verlaine
con sua moglie; i due poeti vengono allontanati dalla
casa dove convivono e iniziano così una vita dissoluta fatta di stenti, di
indigenza, di sregolatezza, di liti furiose, di fughe reciproche fino a
culminare con il ferimento di Rimbaud da parte
dell'amico e presunto amante il quale sconterà due anni di carcere per l'insano
gesto.
Dal 1873 al 1875 Rimbaud è solo; si
rinforza in lui l'avversione generalizzata per il perbenismo borghese, per
tutto ciò che è imposizione, preconcetto, obbligo ed etica. Tornerà più volte
alla casa natìa, ma i durissimi scontri con la madre,
verso la quale si scatenerà un odio indicibile e incontenibile, lo portano a
troncare i contatti con quel che resta della sua famiglia e, per un certo tempo
a isolarsi dal mondo. Questi due anni sono i più produttivi per Rimbaud: vedono la luce i suoi massimi capolavori, cioè Una stagione all'inferno del 1873 e le Illuminazioni del 1875. Il primo,
erroneamente considerato dalla critica l'opera di addio alla letteratura,
consiste in un viaggio virtuale nella psiche e negli infiti
recessi di follia che la caratterizzano e la abitano da sempre. Scritta in
appena cinque mesi, è interamente pervasa da un'apparente volontà di
autodistruzione che concilia il delirio di notti definite infernali con quelle
che sono le combinazioni alchemiche della parola in una sintesi di ricerca
inesauribile nei confronti di un sovrumano che possa dare rivelazioni inattese.
Rimbaud lascia intendere che l'uomo non può accedere
alle gioie del paradiso né alla conoscenza assoluta in quanto per i mortali esiste
solo la rugosa realtà; ed è proprio
questa realtà che permette di essere moderni perché
fornisce la consapevolezza di possedere la verità nel corpo e in concomitanza
nell'anima. Il secondo sono poemetti scritti in prosa indicati con una voce
inglese relativa a incisioni e colori. Non sono costruiti secondo una sequenza
strettamente logica di immagini e discorsi ma, diversamente, presentano
un'espansione libera di sintassi e verso tramite l'enumerazione e i
collegamenti più insoliti e bizzarri con la visione del fantastico
completamente slegata da vincoli di tipo razionale e quindi apertissima
a un misticismo che sostituisce la realtà fino a cancellarla.
Quando Verlaine esce di prigione è un uomo diverso, convertito
alle pratiche religiose e sinceramente ravveduto. Cerca l'amico Rimbaud, ma sarà il loro ultimo incontro-scontro perché si
separeranno definitivamente. Nel 1880 Rimbaud parte per l'Africa dove vivrà commerciando e
contrabbandando con gli indigeni, ma soprattutto dimenticando la poesia e la
scrittura. Un tumore al ginocchio lo costringe a tornare in Europa undici anni
dopo. Morirà a Marsiglia pochi mesi prima che venisse
pubblicata la raccolta delle sue poesie sotto il titolo di Reliquiario.
In una
lettera del 1871 al Demeny (successivamente smentita
dalle tesi contenute in Una stagione all'inferno), Rimbaud
teorizza un poeta-veggente attraverso il totale disordine dei sensi: il poeta è
qualcosa che deve avere in sé ogni forma di amore, di sofferenza, di odio, di
pazzia e di lucidità, possedute sia nel senso della perdizione sia nel senso
della perfezione. Solo per questo percorso egli può divenire il grande infermo,
il grande interprete, il grande maledetto, il solo e unico demiurgo che si apre
all'ignoto. Il poeta, tramite la lingua dell'anima, riassume tutto e comprende
l'universo. La posizione di Rimbaud è contrapposta
sia alla soggettività romantica sia all'oggettività razionalistica in quanto
l'io poetico è finalmente nelle condizioni di poter rivelare l'uomo a se stesso
e di muoversi in maniera autonoma nella realtà precorrendone i tratti
significativi. Il grande limite di questa teorizzazione
è che per raggiungere tale scopo il poeta avrebbe dovuto
smantellare le difese della ragione, della realtà e dei sentimenti cercando un
delirio alternativo nell'artificialità esterna
(l'alcool e le droghe di Baudelaire). Rimbaud, pur dominato dall'avversione per le istituzioni,
la religione, la famiglia, la patria, forse si rese conto che ritrovare
l'essenza dell'arte salvando il mondo era fuori dalle
capacità umane: questo lo spinse ad abbandonare precocemente la poesia dopo
averne indelebilmente segnato il corso.