PAUL
VERLAINE
PECCATO
E REDENZIONE
di Fabrizio Manini
Soltanto in pochissimi casi, come accade per Verlaine,
la vita si intreccia inscindibilmente con l'opera, costituendone parte integrante e un rimando continuo. Anzitutto l'ossessione amorosa iniziata, da una parte, con la carolingia Clotilde e proseguita con le prostitute degli
ultimi anni, in contrapposizione a una serie parallela di incontri omosessuali.
La sua poesia nasce sempre dall'incontrollabile
bisogno di raccontare “esperienze”; per questo quando egli
tenta di trovare un certo
equilibrio nell'esaltazione
dell'amata e la ricerca di significato nelle cose mediante
una nuova dimensione religiosa dell'esistenza, i suoi versi sono
là, a testimoniare quel particolare momento della vicenda
autobiografica. A ben guardare, comunque, non è autobiografismo puro e greve: ad esempio le Feste Galanti mostrano come sia possibile l'evasione attraverso la fantasia e il sogno per calarsi in universi nuovi e seminesplorati, anche se molto
presto c'e un ritorno all'ubriachezza e ai dolori. Come ha giustamente osservato Mallarmé, ci troviamo di
fronte a un poeta in perenne fuga da
qualcosa di non ben definito verso qualcosa di ignoto;
l'esistenza di Verlaine è
un fluttuare ininterrotto attraverso una serie interminabile di luoghi più
o meno anonimi che costituiscono, in senso figurato, una sorta di
labirinto privo di uscita. Pochi
i momenti privi di dolore
(la maggior parte dei quali prima dell'incanto con
Rimbaud nel 1871): ospedali,
stamberghe, postriboli e talvolta anche prigioni, sono le dimore abituali da quando lascia
la moglie Mathilde de Fleurville per andare a vivere con Rimbaud. È vero che gli vengono
tributati alcuni importanti riconoscimenti (come
la nomina a principe
dei poeti), ma mai come in questo caso, e come egli stesso affermerà, il titolo equivale
a principe dei poveri e dei disperati.
Ciò che in un certo senso lo salva è il voler
continuare a scrivere, sempre e comunque, forse anche troppo
negli ultimi anni: la dignità e il senso della
vita stanno infatti nella poesia, la Sua poesia, tenera
e aggressiva, peccatrice e redentiva, raffinata e carnale. Ma l'immenso
limite della poesia è che essa non pone chi la crea al di fuori delle cose, non
regala alcun luogo riparato; e la vita, inafferrabile e sfuggente, incalza
spietata con le sue folli corse. Il segno sotto il quale si
svolge la vita di Verlaine è quello di Saturno, dove
regna la melancholia; ma non è affatto la malinconia gentile
del Pindemonte e di altri autori; piuttosto un umor
nero universalizzato che consente di percepire il mondo soltanto in maniera
inquieta e angosciata. Nello stesso tempo, però, il poeta avverte la
vita con pienezza di sensi e profonda partecipazione: infatti
mentre Rimbaud affronta sistematicamente e razionalmente
i deserti e la pazzia dell'essere, e Mallarmé si
ritaglia una realtà privilegiata e assoluta, la poesia di Verlaine
conosce abbandono, tenerezza, inquietudine e gioia di una sensualità
onnipresente e talvolta esasperata. È quasi prodigiosa la sua capacità di
trasporre in versi i moti disordinati della sua anima, le tentazioni della
carne, le fantasie più lievi, gli ideali di uomo, Le esperienze corporee e
fisiche e il suo pensiero di artista vivente e vissuto. Da
parte di Rimbaud e dei poeti parnassiani,
moltissime sono state le sollecitazioni rivolte a Verlaine
affinché questi prendesse le distanze dall'Io ipertrofico al fine di
conquistare una diversa oggettività: ma nelle liriche che Verlaine
compone la conoscenza avviene attraverso tutti i sensi, con una marcata
tendenza alla musicalità del verso. Durante il passaggio dalla percezione
esterna alla creatività interna si apre una serie di rimandi e di conispondenze di baudeleriana
memoria; la predisposizione dell'animo attonita e trasognata verso la
tenerezza, la raffinatezza, il gusto della sfumatura, sono segni inconfondibili
di Verlaine e inseparabili dalla sua sensibilità.
Come si può intuire contraddizione e antitesi sono elementi di fondo nella vita
e nelle opere di Verlaine: da un lato l'esigenza di
cantare l'amore più trasgressivo e il desiderio più violento, dall'altro il
bisogno di redenzione e la speranza di trovare un punto fermo in un credo
sicuro, non rappresentano necessità di tipo letterario, ma si impongono come
urgenze esistenziali e irrimandabili.
Molto originale il mondo che ci viene rappresentato in Feste
Galanti; i paesaggi sono quelli dei dipinti di Watteau, di Fregonard, di Boucher. In un ideale Settecento incantato, tra
meravigliosi giardini e dolci cascate d'acqua, si muovono i personaggi della commedia italiana:
Arlecchino, Colombina, Pulcinella e moltissimi altri. Naturalmente non si
tratta di una ricostruzione allegorica o storica, ma di una proiezione
dell'anima. Nel fiabesco paesaggio rimane un'eco dell'amata Lécluse
dove vive Elisa per la quale Verlaine
prova una forte e ambigua attrazione: dietro le siepi di bosso, le fontane e le
balaustre c'è infatti il ricordo delle passeggiate con la bella cugina; ovunque
domina sempre un'atmosfera di sogno che non esclude il capriccio, il gioco, il
dolore. La distanza nel tempo (fra la vicenda vissuta e la vicenda raccontata)
permette però alla poesia di comporre il quadro e il racconto in ritmi misurati
ed espressioni eleganti. D'altra parte, un senso di tiepida umanità, l'intensità
dei colori, la soavità delle atmosfere, la stupenda musicalità impediscono a
quest'opera di finire, come spesso succede in casi analoghi, nelle secche di
un'Arcadia fredda e letteraria.
Una curiosità che riguarda Paul Verlaine: il segnale
dell'avvenuto sbarco alleato in Normandia, il 6 giugno 1944, fu trasmesso da
Radio Londra attraverso una poesia. Si trattava di Canzone d'autunno uno scritto poco conosciuto del poeta di Metz,
contenuto nella sezione Paesaggi tristi dell'opera
Poesie Saturnine;
versi tra i più solitari e segreti della lirica di tutti i tempi, erano
stati scelti per annunciare la controffensiva bellica più importante e
sanguinosa nella storia dell'umanità. Di seguito la traduzione in italiano a
cura di Fabrizio Manini.
Canzone d'autunno
I singhiozzi lunghi
dei violini
dell'autunno
mordono il mio cuore
di un languore
monotono.
Soffocando
e livido, quando
suona l'ora,
io mi ricordo
i giorni antichi
e piango;
e me ne vado
nel vento malvagio
che mi porta
di qua di là
come
foglia morta.