Il
cerchio imperfetto, di Sabrina Campolongo –
Prefazione di Rosella Postorino – Collana Declinato
al Femminile - Edizioni Creativa – Pagg. 174 – ISBN: 9788889841433 – Prezzo: €
12,00
A
cura di Patrizia Garofalo
“Questo quadro ferisce. Lo sfondo sembra lacerato. Sono colori cupi
ma stridenti, in certi punti. E quella zona più scura mi fa pensare ad un buco
nero, ad una crepa profonda. Ci si perde, si affoga, ci si sente stritolati se
si resta a fissarlo a lungo, come sto facendo io. È un grido” – così commenta Massimo, senza
distogliere lo sguardo dal quadro, e diventa interprete dell'animo di
Francesca: improvvisamente, senza che lei se lo aspetti, si ribaltano i ruoli e
non è più lei, pittrice, ad andare oltre nelle sue creazioni e a restituire
un'identità completa a quello che dipinge, ma un giovane che sembra “ sazio d'amore”.
“Molti
pensano che sia il sole al tramonto. Invece è una palla da acrobata, una palla
da circo. Sono la sola a saperlo (…) l'onda di angoscia che mi assale ogni
volta che lo guardo, ha reso necessario il suo portarlo qui, fuori dalla mia
casa”.
Il ricordo di quella dolorosa creazione si riaffaccia
preciso, nitido, lacerante; una palla sulla quale aveva tentato di salire più
volte un bambino, dopo giocolieri e clown, dopo urla impossibili da consolare.
Tutto in un attimo, per una distrazione: “Ti divincoli, digrignando i denti, scalciando e urlando, mentre Gianni
ti parla all'orecchio (…) provo a chinarmi su di te…mi trattiene per un braccio”.
Ed anche poco dopo sarà di nuovo Massimo a rivelare:
“Il quadro l'hai chiamato ‘ritratto di una bambina sola' (…) e
soprattutto ci sono quegli occhi della bambina. Occhi divoranti, sperduti ma forti. Occhi che non
sono tristi, sono disperati… animati da una rabbia che ti scuote. Come se si
sforzasse di non piangere (…) alla fine del braccio lasciato steso, c'è una
pietra, stretta tra le dita, tra le nocche imbiancate dalla pressione feroce.
Fa paura la tua bambina Francesca. Ma fa anche venire una
voglia pazzesca di stringerla tra le braccia”.
Per la protagonista, la speranza di un inaspettato
riconoscimento, di un‘armonia cercata, di un'identità denudata con l'apparente
desiderio di spogliare un'anima ferita e ridarle forma; ma la paura fa sempre
da sfondo alle emozioni che Francesca sa di non poter spingere oltre, di non
poter desiderare troppo.
Spera di imparare a credere di non essere abbandonata: un gioco di forza con se
stessa e con quel maledetto fischio del treno… ma vuole giocare, ridere,
sentire brividi, e le mail continuano e l'esaltazione anche ed ogni attesa
potrebbe preludere ad una gioia più grande.
E lei, che restituisce a Viola la sua essenza, la sua
luminosità e i suoi colori, che dipinge un giorno intero il dolore di Marga, “poco più di
un bozzetto, però i suoi occhi sono quelli che avevo in testa. Due pozzi verde cupo.
Spaventati, increduli, violati, gli occhi di una bambina
smarrita”.
Lei, bambina smarrita, tiene blindata l'anima anche
con le amiche che ama, per non guardare un conto che non torna, un'infelicità
durata troppo… che conosce la fascinazione della pittura e che l'autrice
esprime nella necessità della scrittura come contenitore da riempire fino
all'orlo, che strappa l'anima , la ricuce e trova
nelle parole di Iris momentanea consolazione: “Iris ha una teoria sulle mie crisi (…). Sostiene che a volte capita che
le persone perdano dei pezzi, del loro passato, del loro presente, della
sostanza di cui è fatta la loro anima. Fino a quando il corpo amputato si
ribella, si blocca, si rifiuta di proseguire finché io non tornerò indietro a
raccogliere ciò che ho perduto. Finché non lo rimetterò a
posto”.
Alcuni abbandoni sono talmente penetranti da
rimandare al cuore e alla pelle, odori e immagini nitide che il tempo non
pittura mai con pennellate che si schiariscono, anzi a dispetto del trascorrere
della vita, esse sono sempre immobili, disgustose e aggrediscono soprattutto
quando si è più deboli, non si è mai salvi e non solo dal fischio del treno ma
dalla possibilità di dare il senso giusto alle cose anche al dolore e
all'accettazione di se stessi… quindi alla vita.
L'abbandono della madre, le assenze, la diversità con gli
altri bambini del collegio, il figlio autistico, gli uomini con armonie spesso
cacofoniche riportano insieme a sudori, tremori e rifugi nei bar più vicini, “ odio, rabbia cieca. Lei non è venuta. Nemmeno oggi, nemmeno a natale (…). Lei che non mi vuole, lei che
non mi ama, lei che non amo, forse, ma che voglio disperatamente amare” – il volersi perdere in un amore totale e
nello stesso tempo la coscienza che uno stato di gioia non duri mai a lungo.
Dopo un buio accecante che sfuma in blu elettrico la notte, la vita sembra aprirsi
in forma di margherita; Francesca permette a ciascuno, quando il suo segreto
cade in una tazzina mentre serve con disinvoltura un tè, di formarne un petalo
e soprattutto lo accarezza, lo coglie, se ne fa, senza recita, partecipe…
Le pagine si snodano incalzanti, tolgono il fiato,
si continua a leggere con mani sudate, respiro corto, pancia squarciata da luci
ed ombre che schiaffeggiano, baciano, piangono, ridono e accettano, nella
necessità della parola che diventa sempre più necessaria connotazione, una
pittura che crea quadri su quadri, colori su colori, presepi di angeli
all'aeroporto, in attesa di un volo per volare. La
certezza ora, tante volte sognata, che suo figlio dipinge, che la vede, che ha
disegnato esattamente le sue mani come traccia indelebile di affinità
comunicative, “so di tenere tra le mani
quello che tante volte ho disperatamente invocato. Il tuo sguardo su di me. Tu mi hai visto.
Tu mi guardavi” – permette di leggere il dolore come necessario
substrato di crescita e raggiunge la vera coscienza dell'accettazione quando
l'autrice, conscia della spiritualità dell'imperfezione della vita, precisa: “Del resto sarebbe inutile. Alcuni cerchi non
riescono a chiudersi, l'ho capito anch'io. Puoi spingere e tirare, piangere o
arrabbiarti, oppure accettare di aver ricevuto in dono un cerchio imperfetto. E amarlo”.