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  Letteratura  »  Patrizia Garofalo ha recensito Il cerchio imperfetto, di Sabrina Campolongo – Edizioni Creativa 21/02/2008
 

Il cerchio imperfetto, di Sabrina Campolongo – Prefazione di Rosella Postorino – Collana Declinato al Femminile - Edizioni Creativa – Pagg. 174 – ISBN: 9788889841433 – Prezzo: € 12,00

A cura di Patrizia Garofalo

 Questo quadro ferisce. Lo sfondo sembra lacerato. Sono colori cupi ma stridenti, in certi punti. E quella zona più scura mi fa pensare ad un buco nero, ad una crepa profonda. Ci si perde, si affoga, ci si sente stritolati se si resta a fissarlo a lungo, come sto facendo io. È un grido” – così commenta Massimo, senza distogliere lo sguardo dal quadro, e diventa interprete dell'animo di Francesca: improvvisamente, senza che lei se lo aspetti, si ribaltano i ruoli e non è più lei, pittrice, ad andare oltre nelle sue creazioni e a restituire un'identità completa a quello che dipinge, ma un giovane che sembra “ sazio d'amore.

Molti pensano che sia il sole al tramonto. Invece è una palla da acrobata, una palla da circo. Sono la sola a saperlo (…) l'onda di angoscia che mi assale ogni volta che lo guardo, ha reso necessario il suo portarlo qui, fuori dalla mia casa”.

Il ricordo di quella dolorosa creazione si riaffaccia preciso, nitido, lacerante; una palla sulla quale aveva tentato di salire più volte un bambino, dopo giocolieri e clown, dopo urla impossibili da consolare. Tutto in un attimo, per una distrazione: “Ti divincoli, digrignando i denti, scalciando e urlando, mentre Gianni ti parla all'orecchio (…) provo a chinarmi su di te…mi trattiene per un braccio”. Ed anche poco dopo sarà di nuovo Massimo a rivelare:

“Il quadro l'hai chiamato ‘ritratto di una bambina sola' (…) e soprattutto ci sono quegli occhi della bambina. Occhi divoranti, sperduti ma forti. Occhi che non sono tristi, sono disperati… animati da una rabbia che ti scuote. Come se si sforzasse di non piangere (…) alla fine del braccio lasciato steso, c'è una pietra, stretta tra le dita, tra le nocche imbiancate dalla pressione feroce. Fa paura la tua bambina Francesca. Ma fa anche venire una voglia pazzesca di stringerla tra le braccia”.

Per la protagonista, la speranza di un inaspettato riconoscimento, di un‘armonia cercata, di un'identità denudata con l'apparente desiderio di spogliare un'anima ferita e ridarle forma; ma la paura fa sempre da sfondo alle emozioni che Francesca sa di non poter spingere oltre, di non poter desiderare troppo.
Spera di imparare a credere di non essere abbandonata: un gioco di forza con se stessa e con quel maledetto fischio del treno… ma vuole giocare, ridere, sentire brividi, e le mail continuano e l'esaltazione anche ed ogni attesa potrebbe preludere ad una gioia più grande.
E lei, che restituisce a Viola la sua essenza, la sua luminosità e i suoi colori, che dipinge un giorno intero il dolore di Marga, “poco più di un bozzetto, però i suoi occhi sono quelli che avevo in testa. Due pozzi verde cupo. Spaventati, increduli, violati, gli occhi di una bambina smarrita”.

Lei, bambina smarrita, tiene blindata l'anima anche con le amiche che ama, per non guardare un conto che non torna, un'infelicità durata troppo… che conosce la fascinazione della pittura e che l'autrice esprime nella necessità della scrittura come contenitore da riempire fino all'orlo, che strappa l'anima , la ricuce e trova nelle parole di Iris momentanea consolazione: “Iris ha una teoria sulle mie crisi (…). Sostiene che a volte capita che le persone perdano dei pezzi, del loro passato, del loro presente, della sostanza di cui è fatta la loro anima. Fino a quando il corpo amputato si ribella, si blocca, si rifiuta di proseguire finché io non tornerò indietro a raccogliere ciò che ho perduto. Finché non lo rimetterò a posto.

Alcuni abbandoni sono talmente penetranti da rimandare al cuore e alla pelle, odori e immagini nitide che il tempo non pittura mai con pennellate che si schiariscono, anzi a dispetto del trascorrere della vita, esse sono sempre immobili, disgustose e aggrediscono soprattutto quando si è più deboli, non si è mai salvi e non solo dal fischio del treno ma dalla possibilità di dare il senso giusto alle cose anche al dolore e all'accettazione di se stessi… quindi alla vita.
L'abbandono della madre, le assenze, la diversità con gli altri bambini del collegio, il figlio autistico, gli uomini con armonie spesso cacofoniche riportano insieme a sudori, tremori e rifugi nei bar più vicini, “ odio, rabbia cieca. Lei non è venuta. Nemmeno oggi, nemmeno a natale (…). Lei che non mi vuole, lei che non mi ama, lei che non amo, forse, ma che voglio disperatamente amare” – il volersi perdere in un amore totale e nello stesso tempo la coscienza che uno stato di gioia non duri mai a lungo. Dopo un buio accecante che sfuma in blu elettrico la notte, la vita sembra aprirsi in forma di margherita; Francesca permette a ciascuno, quando il suo segreto cade in una tazzina mentre serve con disinvoltura un tè, di formarne un petalo e soprattutto lo accarezza, lo coglie, se ne fa, senza recita, partecipe…

Le pagine si snodano incalzanti, tolgono il fiato, si continua a leggere con mani sudate, respiro corto, pancia squarciata da luci ed ombre che schiaffeggiano, baciano, piangono, ridono e accettano, nella necessità della parola che diventa sempre più necessaria connotazione, una pittura che crea quadri su quadri, colori su colori, presepi di angeli all'aeroporto, in attesa di un volo per volare. La certezza ora, tante volte sognata, che suo figlio dipinge, che la vede, che ha disegnato esattamente le sue mani come traccia indelebile di affinità comunicative, “so di tenere tra le mani quello che tante volte ho disperatamente invocato. Il tuo sguardo su di me. Tu mi hai visto. Tu mi guardavi” – permette di leggere il dolore come necessario substrato di crescita e raggiunge la vera coscienza dell'accettazione quando l'autrice, conscia della spiritualità dell'imperfezione della vita, precisa: “Del resto sarebbe inutile. Alcuni cerchi non riescono a chiudersi, l'ho capito anch'io. Puoi spingere e tirare, piangere o arrabbiarti, oppure accettare di aver ricevuto in dono un cerchio imperfetto. E amarlo”.

 

 

 
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