William Langewiesche,
American Ground (Adelphi, 2003)
di
Alberto Carollo
Ho iniziato a leggere American Ground senza conoscere il
suo autore e senza alcuna notizia sulle reazioni che il libro ha suscitato
negli USA dopo la sua apparizione in libreria. Nello scorrere il risvolto di
copertina mi chiedevo se era ancora possibile dire qualcosa sull'evento forse
più documentato della storia recente. Ma si provi a leggere l'incipit,
con quel tono algido e perentorio (Le Torri Gemelle del World Trade Center sono crollate l'11 settembre 2001. Quel
mattino il cielo era sereno e la temperatura mite…), come se la notizia
fosse riportata da un improbabile speaker atarassico: la sensazione netta è
quella di essere incappati in una voce fuori dal coro, lontana dai toni
accorati e dalle agiografie che ci sono state propinate dai media in dosi
massicce e a più riprese nel tempo. American
Ground è un libro che si compone di tre reportage lunghi,
composti per conto di The Atlantic Monthly e
in seguito raccolti in volume. Nel primo viene descritta la topografia del Cumulo,
il mondo infero sotto l'imponente ammasso di macerie nel luogo dov'erano le
Torri. Nel secondo, La terapia intensiva, Langewiesche
ricostruisce nel dettaglio la dinamica dei crolli; in La danza dei dinosauri
viene riferita la lotta che nei mesi successivi alla tragedia ha visto
pompieri, poliziotti e operai delle diverse aziende edili contendersi Ground
Zero per diverse ragioni. Per sei mesi il giornalista americano, l'unico
autorizzato a rimanere all'interno dell'area, ha seguito e osservato da vicino
le operazioni di sgombero. Eppure, a rendere speciale questo libro non è tanto
il resoconto di un inviato nel cuore dell'evento, come ne abbiamo visti e
apprezzati tanti, ma la scelta della materia da trattare e il punto di vista
adottato. Langewiesche sceglie di raccontare la
storia della rimozione dei detriti; di questa impresa, pur costellata di eventi
accessori che offrono diversi spunti di riflessione e interpretazione, narra
sostanzialmente il libro. Per quanto
attiene invece al punto di vista, l'intento è evidente nelle parole del suo
autore: “(…) se il libro voleva andare al di là
della cronaca era essenziale una certa neutralità: dovevo lasciare che i
sentimenti e le opinioni ce li mettessero i lettori. Io
dovevo soltanto essere il loro sguardo, e senza neppure pretendere di
comportarmi da giornalista obiettivo”. E per lo più ci riesce, Langewiesche, a mantenere quella distanza emotiva, a
rifuggire quel sentimentalismo da lui definito “malsano” che permeava il
cantiere in quei mesi cruciali, per affidare alla storia un resoconto di grande
valore informativo, rendendo agevole anche al profano la terminologia tecnica,
le valutazioni ingegneristiche, le ipotesi virtuali, per delineare un ritratto inedito
di un Paese colto “nel presente” di un momento così vulnerabile, mutilato e
oltraggiato, preda del caos e della spontaneità. A mio giudizio è proprio il
racconto di questa spontaneità, di come i responsabili delle imprese edili si
organizzano per rimuovere le macerie, di come queste
vengano convogliate nella immensa discarica di Fresh Kills dove avviene l'ultimo, pietoso spoglio alla ricerca
dei resti umani da riconoscere, la parte più felice del testo. E' l'America
pragmatica, l'America di uomini come Ken Holden, Mike Burton e collaboratori,
che si rimboccano le maniche e raccolgono sfide di ogni genere. “Alcuni dei partecipanti erano professionisti affermati, con uno
stato di servizio impressionante: tuttavia nel mondo del Trade
Center il curriculum contava assai poco. Per quanto temporaneo,
vigeva infatti un nuovo contratto sociale (…):ciò che
ognuno poteva dare in quel momento. E ancora: “Nessuno
aveva il tempo di valutare opzioni e di redigere piani: quello che serviva era
spirito di iniziativa allo stato puro.”
La descrizione dei protagonisti, la
loro biografia e il compito che hanno svolto sul Cumulo sono rappresentati con
una certa dose di enfasi, ma è lo stesso giornalista a mettere le mani avanti,
sottolineando nella Postfazione che la sua presenza nel cantiere rappresentava
un rischio, che l'ammirazione per loro non era affatto scontata all'inizio e
che era pronto a denunciare l'eventuale fallimento con la stessa sollecitudine
con cui ne avrebbe celebrato il successo.
Diverso il discorso per le dinamiche
sociali. Il libro non è piaciuto a molti e negli USA è stato oggetto di
campagne censorie e di un lungo e controverso dibattito. Langewiesche
è stato accusato di mancanza di rispetto nei confronti delle vittime, e di
pregiudizi verso i vigili del fuoco, infuriati perché nel testo si parla di
saccheggi commessi nella zona dei crolli da alcuni pompieri, e in particolare
dello scontro seguito al ritrovamento di un relitto di autocarro del Fire Department
pieno di jeans nuovi. “A dire la verità, bastava osservare le impronte
lasciate dai computer portatili e tutte le borse aperte per capire che la
stanza era stata perquisita a fondo in cerca di oggetti di valore, magari da un
vigile del fuoco o da un poliziotto o da un operaio. Rappresentanti di tutti e
tre i gruppi sono stati effettivamente implicati in numerosi episodi di
saccheggio (…)”.
Langewiesche si
rifiuta di celebrare gli “eroi” delle Twin Towers; ritiene che l'opinione
pubblica sia stata indotta dai media a coltivare una visione distorta della
realtà. In quei mesi erano tutti inclini a pensare che lavorare in Ground
Zero fosse una condizione improba e che nell'immaginario collettivo la
figura del pompiere meritasse la venerazione del Paese. Ma accanto ai vigili
del fuoco c'erano altre figure, appartenenti a diverse categorie. A quanto
emerge dal libro, sul Cumulo non vi era unità d'intenti: diverso il rituale col
quale si tributavano gli onori alla salma di un vigile del fuoco rispetto a
quella di un civile o di un poliziotto; frequenti i litigi, le divergenze di
opinioni sulle strategie da adottare, gli scontri tra le diverse imprese edili
che si contendevano i quadranti dell'area da bonificare come se rivendicassero
una fetta di territorio per la loro tribù. E fuori dal Trade
Center si vendevano adesivi con gli slogan UNITI SI VINCE, “in un paese che
con tutta evidenza vince disunito, perché sa trasformare i dissensi in punti di
forza”, chiosa Langewiesche. Per il giornalista
americano tutto ciò sembrava prefigurare una sorta di implosione sociale che
era precisamente uno degli scopi dell'attacco. “L'America è un Paese forte e
caotico, dominato da molte cose ma non dal razionalismo.”