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  Letteratura  »  Fulvio Tomizza, di Grazia Giordani 18/09/2008
 

Fulvio Tomizza

(1935-1999)

 

a cura di Grazia Giordani

 

Immaginate un ragazzo di bell'aspetto, vagheggiato dalle mule triestine per i suoi occhi di velluto, dotati di irresistibile languore. Pensatelo sradicato, spaesato, rifugiato a Trieste,  questo avvenente ventenne che si è lasciato alle spalle la sua Istria tanto amata, dovuta abbandonare quando la sua adorata penisola istriana  è passata sotto l'amministrazione jugoslava.

Era nato nel 1935 da una famiglia della piccola borghesia a Giurizzani (Juricani in croato), vicino a Materada,  dove i suoi genitori erano proprietari di piccoli appezzamenti di terreno. Precocemente dotato di senso artistico e di predisposizione alla scrittura – conseguita la maturità  classica a Capodistria – passò temporaneamente a Belgrado e a Lubiana, occupandosi di teatro e di cinema. Qui, infatti, girò come aiuto regista un film  che venne presentato al festival di Venezia.

Ma noi prendiamo a immaginarlo poco più che ventenne,  negli anni triestini, ricongiunto alla madre, dopo la tragica morte del padre – sospettato dai soldati titini di ribellione al regime. Proprio in questi anni conosce la giovane, poco meno che coetanea Laura Levi, una signorina di buona famiglia, con cui intreccerà una delicata storia d'amore e che diventerà presto sua moglie.

Ventiduenne, nel 1957 vinse il suo primo riconoscimento importante al “Cinque Bettole” di Bordighera con tre racconti (in commissione: Giancarlo Vigorelli, Carlo Bo, Bonaventura Tecchi, Carlo Batocchi e Italo Calvino). Quegli stessi racconti d'esordio, erano stati molto lodati dal futuro suocero (quel mulo el ga ciaf  !)

La famiglia di Laura avrà grande importanza nella vita e nella formazione di Fulvio, molto pieno di ammirazione per l'estro artistico del suocero, musicista di valore, docente di storia della musica all'Università di Trieste.

La nostalgia per la sua terra lo spingerà a scrivere nel 1960 il suo primo romanzo di grande successo Materada  in cui narra la storia di una famiglia che – al consolidarsi del regime comunista -  lascia tutto dietro le sue spalle e parte. Autobiografica più che mai, questa sua opera prima, risveglierà l'interesse della critica letteraria non solo nazionale, piena di ammirazione per il valore epico del racconto di un popolo diviso alla ricerca di una nuova identità. Sarà Francesco, istriano di Materada, qui nom de plume del nostro Fulvio, a decidere di abbandonare  il suo paese, strappando le radici che lo legano a una terra aspra e fertile che ora gli è negata e contesa. Con i nuovi trattati del 1954 la zona B dell'Istria  in cui Materada è inclusa – viene assegnata definitivamente  alla Jugoslavia, anche se è permesso scegliere se restare o emigrare verso Trieste. In questo lacerante  scenario  storico il venticinquenne autore racconta le sorti di un popolo disorientato e straziato da rancori, odi e vendette sanguinose, registrando che in Istria – dopo un repressivo fascismo – subentrava un  radicale comunismo.

 

Materada, 1961, Mondadori, pp.175,lire 1.000

Cap. I (prime due pagine da:  La guerra tutti l'abbiamo provata a  “in quel pezzo di carta ingiallita”.)

Cap. XIII (p.142 da “Umago è per me il più bel posto del mondo” a “qualche donna si è poi affogata”.)

pp. finali: 174, 175

 

Tre anni dopo Materada, compare il racconto drammatico La ragazza di Petrovia che ci parla ancora di un popolo che alla fine della seconda guerra mondiale è stato costretto dagli eventi politici a lasciare casa, terra e famiglia per stabilirsi in Italia, nei “campi di raccolta” vicini a Trieste, sperando in una nuova esistenza, in mezzo a squallori e nuove discriminazioni. Protagonista del romanzo è Giustina che, in attesa di un figlio,  vivrà un amore senza speranza., al quale segue Il bosco di acacie in cui l'autore  parla ancora dell'esodo degli italiani d'Istria offrendoci un concentrato di grande bellezza di stile e contenuto per l'azione incalzante, per i silenzi e i risvolti freudiani del protagonista quando accompagna il padre a morire in una terra che non è la sua. Nascita e morte inducono a un'analisi psicologica di raro spessore.

Nel 1969 Tomizza guadagna il Viareggio il primo premio di grosso spessore con L'albero dei sogni (personaggio principale è il padre che è stato per lo scrittore una autorità alla quale aveva forse trasgredito. Quindi, per ovviare ai sensi di colpa – tema ricorrente nella scrittura tomizziana formatasi alla scuola dell'amato Dostoevskij – lo scrittore si autoanalizza. Il racconto poggia su uno sfondo autobiografico di un autore che sente di scrivere “non solo per vocazione, ma anche per una piccola missione”.

 

1977 Questo è l'anno del capolavoro di Tomizza

La miglior vita, “epica della frontiera”, meritatissimo Premio Strega. Romanzo corale, cronaca attraverso gli anni, di un villaggio istriano di confine, Radovani, narrata dal sacrestano Martin Crusich che ha servito messa a sette suoi parroci. Il romanzo abbraccia uno spazio ampio, comprensivo di tutto il ‘900, in una terra mista di stirpi, dominazioni e religioni, ovvero due grandi guerre, mutamenti di nazionalità, esodi volontari o forzati, molte morti, una rivoluzione socialista, un'epidemia di vaiolo, un terremoto.”Continuavamo a trovarci in piena guerra per l'eterna questione dell'essere italiani e dell'essere slavi, quando in realtà non eravamo che bastardi” – dirà il sacrestano, interpretando il pensiero dell'autore. Memorabili alcuni dei sette parroci: Don Stipe, il cappellano biondo che sogna invano una riscossa, anche religiosa, dei popoli slavi e incoraggia le nozze di Martin con Palmira. C'è il prete vessato dalla sua perpetua e quello che la vessa, il sessuofobo e – infine – don Miro che è stato partigiano con Tito, straziato da un amore pericoloso con una maestrina del villaggio, per non arrendersi,  si distrugge di vino e di cancro. Con la sua morte, Radovani, in regime socialista, non avrà più parroci. Nella deserta canonica alloggerà Martin, divenuto guardiano dei ricordi. Un modesto nonzolo è dunque in grado di ricreare il passato, di rispecchiare il presente, di additare il futuro. Tomizza gli ha assegnato il  compito di fare storia con la cronaca, di estrarre la cronaca dalla storia, visualizzando la politica dei regimi, dei fascisti, dei partigiani,  del mondo ricco e povero, dei fedeli, degli agnostici, dei giovani e dei vecchi

 

La miglior vita, 1996, Oscar Mondadori, pp.310, Lire 13.000

Capitolo I (da “La  mano mi trema” a “mito di fuoco”)

Capitolo III  Prima pagina

Ultime due pagine del romanzo

 

Nel 1984 esce Il male viene dal Nord con radici nel passato della Controriforma.  Il capodistriano Paolo Vergerio il Giovane si sposta verso il Protestantesimo.

 

1986. Nel romanzo Gli sposi di via Rossetti  l'autore ricorre  ad una corrispondenza privata per narrarci di  due giovani sloveni – residenti a Trieste – terminata in tragedia con la loro morte.  Siamo nel 1944.. Trieste è chiusa nella morsa dell'occupazione tedesca e nel contempo percorsa dalla diffidenza e dall'odio che oppongono la maggioranza italiana alla minoranza slovena. Tomizza ritrova un gruppo di lettere d'amore scritte da Stanko Vuk – incarcerato per cospirazione antifascista -  alla moglie Dani, i due sposi poi  assassinati. L'autore  s'interroga quindi sulla qualità di quel sentimento d'amore.

Questo è un romanzo a cui sono particolarmente affezionata perché ha segnato l'inizio della mia fraterna amicizia con l'autore con cui – da quell'anno, fino alla sua morte – ho intrattenuto anche una fitta corrispondenza.  Con il suo arrivo a Badia – il 30 marzo 1987 – mi è stao affidato il compito dalla biblioteca – di fargli  da chaperonne – conducendolo a visitare i monumenti della nostra piccola città. Lunghe ore di dialogo umano e letterario hanno lasciato un segno profondo nei miei ricordi.

 

Gli sposi di Via Rossetti, 1986, Mondadori, pp.197, lire 18.000

Parte Seconda  (pp.110-112, pp.158-159; pp.195-197)

 

I rapporti colpevoli, uscito nel 1992 , regalerà un cemento tutto speciale alla storia della nostra amicizia perché venerdì 12 marzo 1993, l'autore lo presentò in Accademia dei Concordi a Rovigo in “tandem” col mio romanzo Hena. Secondo Zanzotto ci troviamo davanti le pagine  più belle e rivelatrici di tutta  la sua opera”. Questo è un romanzo più che mai psicoanalitico, di autopunizione in cui passato, presente e futuro si coagulano in un unicum di rara suggestione. Un vero cocktail di dostoevskijani sensi di colpa. Siamo di fronte a una kafkiana chiamata in giudizio. Sfilano davanti ai nostri occhi varie città. Surreale, onirico e salvifico, poiché da questa scrittura l'autore si è sentito purificato.

 Sono le donne della sua vita, la madre, la moglie, la figlia, che ognuna in modo diverso, più o meno consapevolmente, limitano quei bisogni o ne impediscono la gratificazione. Donne che egli ama e verso le quali sente di avere dei doveri, cui adesso {la cinquantina, età dell'andropausa e di bilanci punto o poco rassicuranti) vorrebbe "disubbidire". Ma slacciarsene significa provare sensi di colpa e rimorsi, che bisogna far ricadere sulle donne col suo suicidio, per far sentire colpevoli loro e punirle così delle sue mancate gratificazioni. Un suicidio, quindi, come mancanza di gratificazioni.. Il romanzo – finalista al Campiello – ha vinto l'ambito premio Boccaccio.

 

I rapporti colpevoli, 1992, Bompiani, pp.327,lire 30.000

Capitolo Secondo  (p.35 da “quasi tutte” a “disponibilità erotica”)

 

Franziska, agosto 1997, Mondatori, pp.225,  lire 27.000

 

 

Per la rivista fiorentina II Portolano ho  recensito il volume che Fulvio mi ha fatto avere prontamente.

Recensione. Franziska di Fulvio Tomizza, Mondadori

 

“E' fuor di dubbio che quando Tomizza - istriano di nascita e triestino d'adozione -, intinge la penna nei suoi temi di frontiera per narrare vicende di minoranze etniche che gli stanno fortemente a cuore, la sua vena di scrittore ritrova tutto lo smalto dei bei tempi, di quando con romanzi di elevato spessore quali L'albero dei sogni o La miglior vita, riceveva i premi Strega e Viareggio.

Con Franziska, sua ultima figlia letteraria, uscita per i tipi della Mondadori, lo scrittore ci offre uno struggente e delizioso ritratto di donna, ricostruito e immaginato sulle basi di un epistolario originale. Possiamo constatare come la Storia corra parallela alla vicenda privata della slovena del Carso e ci rendiamo conto, sollecitati dalla penna dell'autore, di quanto appaia ai nostri occhi maggiormente accattivante e letterariamente valida la vicenda privata dell'infelice protagonista, piuttosto che l'inevitabile cornice storica reale che fa da fondale alla narrazione.

La nascita eccezionale (con Francesco Giuseppe per padrino e la concessione in dono di mille corone, avendo visto la luce nelle prime ore del secolo ventesimo), la vita tribolata della figlia del falegname Skripac, il suo unico grande amore deluso, offrono un vigoroso pretesto a Tomizza per scandagliare con cuore sensibile l'animo femminile sul filo delle inesplicabili incongruenze della vita.

Ritorna a galla il clima, l'atmosfera in cui lo scrittore è vissuto ed è stato educato; dalla pagina emergono i suoi convincimenti politico-storici, la sua personale visione della vita. Appare nella pagina a linee maiuscole tutta la crudeltà del Novecento nei confronti della Slovenia - patria di Franziska -, un'etnia travagliata che solo da due anni è riuscita ad avere uno Stato. La protagonista è toccata dalle due guerre e dalla persecuzione fascista, ma noi, in quanto lettori, pur consapevoli della necessità ineluttabile di un back-ground storico, siamo soprattutto attratti dalla parte umana e sentimentale del romanzo, dall'amore che intercorre tra la giovane e il maturo (solo negli anni, purtroppo) Nino Ferrari, l'italiano di Cremona, ufficiale sul Carso e poi ingegnere a Trieste, resi emotivamente partecipi di un sentimento che si snoda difficoltoso per gli impacci di due anime e di due culture, di due mondi che, sfiorandosi, annaspano per capirsi. L'anno fatale dell'incontro è il 1918, la storia ha un andamento positivo fino al 1921, poi - con l'affermarsi del fascismo - l'incendio della casa del popolo, tutte le oppressioni storiche coincidono con i tentennamenti dell' intiepidito innamorato, un uomo amletico, indeciso, molto più borghese di quanto egli stesso pensi di essere. Nino Ferrari, esteriormente è colto, un po' fuori dalla norma, dotato di un'intelligenza sui generis, severo giudice di quella grettezza provinciale di cui in realtà è succube, e l'ultima crudele lettera alla sua sventurata donna rivela tutto il suo gelido egoismo. A Franziska crolla il mondo addosso. I passaggi psicologici che ci descrivono il dolore, la delusione, la caduta intima della protagonista, sono di raro vigore introspettivo.

Quello della giovane slovena è uno dei più bei ritratti femminili dell' attuale letteratura, dipinto con mano delicata, attenta alle sfumature, a quei sussulti del cuore che solo un grande scrittore sa cogliere e sublimare.”

Franziska, 1997, Mondadori, pp.225, lire 27.000

Capitolo primo (prime due pagine)

Capitolo quarto (pp.115, 116, 117)

 

Nel chiaro della notte, uscito nel marzo 1999 – due mesi prima della morte dell'autore – è un'opera prevalentemente onirica ed autoironica da me recensita nelle pagine culturali dell'Arena

Nel chiaro della notte di Fulvio Tomizza, Mondadori

 

“I SOGNI SVANISCONO ALL'ALBA

Sarebbe piaciuto a Fellini un racconto così. Ci riferiamo al primo, incontrato leggendo Nel chiaro della notte, la silloge - fresca di stampa - che Fulvio Tomizza ha pubblicato per i tipi della Mondadori. Il grande riminese che non è più fra noi ne avrebbe saputo trarre uno di quei suoi film onirici in cui sogno e realtà si fondono in un'amalgama inquietante che intriga lo spettatore. E Il trio Mystic - così si intitola il racconto d'apertura a cui facciamo riferimento - ha proprio quel tono di favola, popolata di saltimbanchi, che intendiamo sottolineare per coinvolgente incantamento e onirica magia.

"Dove saranno finiti Mystic, la sua bella figlia con le trecce castane, l'amante Albina, prosperosa e dalle pupille rosse, priva di un pelo persino sul sopracciglio, la quale cadeva in catalessi e nella vita fungeva da matrigna?" - così esordisce Tomizza, ospitandoci, senza preamboli, dentro il suo immaginario della notte e rendendoci complici, fin dalle prime righe, delle sue fantasie più intime e altrimenti inconfessate, entrando in un mondo dove tutto è possibile: che l'autore venga accecato dalla bella Rosa, sua fidanzata e figlia di Mystic (per cui il campo visivo gli "venne occupato dall'intera figura del capo che, ripartita in quattro sezioni, (gli) pareva ulteriormente allungata e tetra"); che i morti parlino e ritornino a morire ; che i congiunti o i paesani appaiano in età e in luoghi diversi; che a Milano si possa arrivare con la nave (Come persi la nave per Milano); che Tomizza stesso abbia la facoltà di partire in aereo senza aeroporto (come scrive in Volo individuale: "...io volo, ma mi ci vuole il luogo adatto da cui staccarmi da terra. Non preoccuparti, l'ho fatto altre volte, ci sono abituato".

I luoghi sono quelli in cui l'autore ci ha da anni "trasportati", qui visti comunque con l'occhio allucinato di chi sta sognando, o frammisti a posti irreali, che la carta geografica ignora, in un mosaico di possibilità infinite. L'Istria, il Carso e la Dalmazia continuano ad essere terre d'elezione anche quando l'autore appoggia la testa sul cuscino, poiché quello è il mondo che più ardentemente porta dentro di sé, come in Visita ai miei luoghi, dove "la pioggia infittisce e tanto vale puntare diritti sui nostri luoghi: miei e del vecchietto di Umago. Anche per strada c'è ben poco da vedere. Il cattivo tempo appiattisce ogni cosa, tutto appare grigio, fumoso, sprofondato in una stagione neutra che non consente neppure alla terra rossa né ai roveri dalla chioma fulva di assumere rilievo, colore. È l'eterno tempo di un'Istria povera, lontana, dove la vita sonnecchia perfino nelle case e se qualcuno azzarda a mettersi su una strada è per portare il grano al mulino; fradicio quanto i buoi o l'asino".

Ci sono pagine molto forti in cui il sogno è soprattutto incubo, come in Ultimo ritorno del padre, in cui la madre porge ai fratelli Tomizza "la testa del padre interamente stretta in pezze di lana" e ancor più in Donna crocifissa che è forse il più cruento e straziante degli incubi dell'autore. A questo proposito sarebbe troppo facile fare della spicciola psicoanalisi sui sogni tomizziani, sulle sue angosce della notte, sul suo bisogno di attorniarsi della rassicurante cerchia di persone care: Laura, la moglie, Franca, la figlia, i suoceri a cui è legato da affetto profondo, gli amici, la gente semplice, la sua casa di Materada che sogna invasa dei ladri. Timori dichiarati o sotterranei emergono da quell'antro profondo della coscienza da cui Freud sapeva pescare a piene mani, frugando dentro la nostra psiche.

L'autore de L'albero dei sogni (il sogno già da allora aveva grande importanza nella sua pagina) con cui nel '69 vinse il Viareggio) e della Miglior vita (Premio Strega del '67); degli Sposi di via Rossetti nel '93; dei Rapporti colpevoli nel '94 con cui vinse il Boccaccio e di Franziska nel '97 - quattro volte finalista al Campiello -, insignito a Vienna del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea, tradotto nelle principali lingue, anche Nel chiaro della notte, pur nella malinconia onirica del suo raccontare, ha spesso note di piacevole ironia che si fa autoironia ne Il premio dei premi e amaro sorriso in Ultimo appestato a Venezia.

Nell'ultima pagina, Tomizza si congeda da noi "nella piena luce diurna", ormai il diafano chiarore della notte, con le sue magiche suggestioni, lo ha abbandonato, i sogni sono lontani, svaniscono all'alba, ma non tanto da non aver lasciato una scia opalescente di immagini e voci in dissolvenza, anche nei nostri pensieri.”

 

Opere postume dell'Autore:

La visitatrice, maggio  2000, pp.127,  lire 26.000

L'azione si svolge a Trieste nel periodo successivo all'indipendenza della Repubblica di Slovenia. Una misteriosa visitatrice resuscita i fantasmi del passato nella memoria di un padre sconosciuto. L'uomo ripercorre il torbido periodo della sua giovinezza. Basta il breve  arco di due notti a regalarci una storia amara e struggente.

 

La visitatrice, piè di pagina capitolo sesto p.43 da “Vale la pena patire” a fine p.44 .

 

 

 

Il sogno dalmata, Mondadori, pp.176, lire 28.000, uscito nel maggio 2001

Da me così recensito nelle pagine culturali dell'Arena

 

ISTRIA E DALMAZIA: DUE MONDI IN CONTINUO CONFRONTO

""Il sogno dalmata" è il romanzo che oso considerare il mio ultimo capolavoro" - ha affermato l'autore - Fulvio Tomizza (1935-1999) - forse presago di essere in procinto di consegnare ai suoi lettori il suo estremo testamento letterario, con cui si è congedato da un pubblico attento - fin dagli anni dello splendido "Materada" (1960), de "L'albero dei sogni" (Premio Viareggio nel 1969) e de "La miglior vita" (Premio Strega nel 1997) -, alla sua scrittura asciutta venata di una poesia essenziale, in perfetta armonia con i paesaggi scabri e gli stati d'animo sofferti, così esemplarmente descritti.

Lo "scrittore di frontiera", come amava autodefinirsi, ha chiuso la sua produzione artistica nella più grande coerenza tematica, parlando di quelle etnie minoritarie e di quei luoghi geografici cari al suo cuore, che per anni hanno scandito la puntualità della sua scrittura. Con questo suo romanzo di congedo, l'autore compie un "viaggio" su duplice binario, ripercorrendo le vicissitudini dei suoi avi dalmati fattisi istriani, ripercorrendo quindi egli stesso un viaggio in senso inverso, in un clima di "reale finzione", secondo una cifra narrativa da sempre a lui cara, approfondendo radici e spessore del suo essere uomo ed artista.

Mito e storia, coralità ed esperienza intima si rincorrono continuamente nella pagina, intrisa di realtà e sogno, in linea con l' "allure" creativa maggiormente conseguente e connaturata nell'animo dell'autore.

Nel Seicento prende riparo in Istria una colonia di dalmati e di albanesi, al fine di sfuggire ai turchi e ritrovare la consolazione di una nuova patria - con l'appoggio interessato della Serenissima - sul desolato sfondo di una terra martoriata dall'epidemia della peste.

La Storia si ripete - sembra dire l'autore, che in effetti, spesso ha sostenuto nelle sue opere, questa tesi di nietzcheana matrice dell' "eterno ritorno dell'uguale" (non è difficile per noi, a questo proposito, operare un confronto con i fuggiaschi che sbarcano attualmente sulle nostre coste pugliesi); anche ai fuggitivi del passato, come a quelli odierni, tocca in sorte l'escamotage di traffici criminali per la sopravvivenza, e - per soprammercato -, nel caso del romanzo, la percezione di essere approdati in terre altrettanto aride di quelle abbandonate.

La penna di Tomizza, che comunque aveva tanto amato quei luoghi, da lui scelti per viverci in estate (piantando addirittura con le sue mani in quell'arsa terra, un folto uliveto), e per dormirvi il suo ultimo sonno, si fa particolarmente incisiva nel descriverne l'asprezza pietrosa: "Tutti gli elementi del paesaggio istriano si riproponevano inaspriti: le spine formavano da sole le siepi e rispuntavano in altri cespugli sui prati, i massi di pietra non relegati nei boschi riemergevano tra le viti e gli ulivi, il mare che si profilava sotto, ora invitante, ora minaccioso, ribolliva nelle strettoie tra la litoranea elevata e il dorso delle isole. Pecore e capre brucavano quanto di verde trovavano saltando i macigni, ognuna col suo campanaccio al collo, per dare notizie di sé".

Il romanzo, tra fantasia e verità, ci offre anche il ritratto di un leggendario avo del narratore: Zorzi Jurcan, già combattente al soldo di Venezia contro i pirati, futuro padrone del territorio, mentre il raffronto tra i due mondi istriano e dalmata si fa insistente motivo conduttore della narrazione.

Non manca l'amore - sentimento spesso descritto nella tematica tomizziana (vedasi "Gli sposi di via Rossetti" o lo struggente "Franziska", solo per citare due fra le sue ultime opere) -, questa volta sbocciato tra lo stesso narratore e una studentessa universitaria di Zara.

Al clima festoso ed ammiccante che fiorisce intorno alla vicenda amorosa, descritta con toccante "levitas" lirica, farà da contrasto l'atmosfera bellica, l'odore della guerra, poiché dopo le infervorate giornate dell'indipendenza croata, scoppierà la guerra balcanica, totalmente distruttiva.

Pagine percorse da un brivido squassante di malinconia, uno spleen esistenziale che abitava realmente anche dentro l'animo dell'autore, sempre consapevole della brevità della gioia, sempre incline ad una sofferta felicità, portatore di due anime, come accade agli esseri dotati di una sensibilità che travalica il normale sentire.

 

Il sogno dalmata da metà p.168 “Un uomo diventa vecchio” alla fine del romanzo.

 

 

 

Bibliografia

Materada, Milano: 1960.

La ragazza di Petrovia, Milano: 1963.

La quinta stagione, Milano: 1965.

II bosco di acacie, Milano: 1966.

Trilogia istriana, raccolta, Milano: 1967; comprende i raconti Materada, La ragazza di Petrovia e Il bosco di acacie.

L'albero dei sogni, Milano: 1969.

La torre capovolta, Milano: 1971.

La città di Miriam, Milano: 1972.

Dove tornare, Milano: 1974.

Trick, storia di un cane, 1975.

La miglior vita, Milano: 1977.

L'amicizia, Milano, 1980.

La finzione di Maria, Milano: 1981.

Il male viene dal Nord, Milano: 1984.

Ieri, un secolo fa, 1985.

Gli sposi di via Rossetti, Milano: 1986.

Quando Dio uscì di chiesa, 1987.

Poi venne Cernobyl, 1989.

L'ereditiera veneziana, Milano: 1989.

Fughe incrociate, Milano: 1990.

I rapporti colpevoli, Milano: 1993.

L'abate Roys e il fatto innominabile, 1994.

Alle spalle di Trieste, 1995; scritti dal '69 al '94.

Dal luogo del sequestro, 1996.

Franziska, 1997.

 

Nel chiaro della notte, 1999.

La visitatrice, maggio 2000

Il sogno dalmata maggio 2001

 

Riconoscimenti letterari. :

 

1965 Premio Selezione Campiello (La quinta stagione)

1969 Premio Viareggio (L'albero dei sogni)

1972 Premio Fiera letteraria (La città di Miriam)

1974 Premio Selezione Campiello (Dove tornare)

1977 Premio Strega (La miglior vita)

1979 Premio del Governo Austriaco per ła Łetteratura Europea

1986 Premio Selezione Campiello (Gli sposi di via Rossetti)

1992 Premio Selezione Campiello; Premio Boccaccio (I rapporti colpevoli)

 

Pagine da prendere in considerazione per la lettura.

 

Materada, 1961, Mondadori, pp.175,lire 1.000

Cap. I (prime due pagine da:  La guerra tutti l'abbiamo provata a  “in quel pezzo di carta ingiallita”.)

 

 

Cap. XIII (p.142 da “Umago è per me il più bel posto del mondo” a “qualche donna si è poi affogata”.)

pp. finali: 174, 175

 

La miglior vita, 1996, Oscar Mondadori, pp.310, Lire 13.000

Capitolo I (da “La  mano mi trema” a “mito di fuoco”)

Capitolo III  Prima pagina

Ultime due pagine del romanzo

 

Gli sposi di Via Rossetti, 1986, Mondadori, pp.197, lire 18.000

Parte Seconda  (pp.110-112, pp.158-159; pp.195-197)

 

I rapporti colpevoli, 1992, Bompiani, pp.327,lire 30.000

Capitolo Secondo  (p.35 da “quasi tutte” a “disponibilità erotica”)

 

Franziska, 1997, Mondadori, pp.225, lire 27.000

Capitolo primo (prime due pagine)

Capitolo quarto (pp.115, 116, 117)

 

La visitatrice, piè di pagina capitolo sesto p.43 da “Vale la pena patire” a fine p.44

 

Il sogno dalmata da metà p.168 “Un uomo diventa vecchio” alla fine del romanzo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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