FERNANDO PESSOA
Tanti poeti racchiusi
in un'unica persona
a cura di Fabrizio Manini
Nessuno avrebbe mai supposto che dietro l'immagine di impiegato schivo e
riservato che Pessoa ha sempre dato di se, si potesse nascondere una
personalità mai scoperta durante l'esistenza in vita; ma introversione e
timidezza celavano un “gioco letterario”, ben preciso nella mente di Pessoa,
che consisteva nel pubblicare i suoi scritti con altri se stessi, ognuno con un
proprio stile e una propria biografia, tutti eteronomi riconducibili però ad
un'unica persona in carne e ossa. Del resto in portoghese il suo cognome
significa persona e, come in un gioco di specchi, il poeta continuava ad
utilizzare la propria immagine creandone di nuove, simili ma non uguali,
ciascuna con caratteristiche proprie che, pur analoghe tra loro, comunque non
sono cloni umani, ma bensì scrittori e poeti che esistono in una finzione
letteraria spesso vicina alla realtà. Dei venti pseudonimi dietro cui Pessoa si nascondeva per pubblicare i suoi scritti sulle
riviste portoghesi, segnaliamo i quattro più noti con qualche cenno alle
presunte biografie. Ricardo Reis: nato
ad Oporto nel 1887, studia in un collegio retto dai gesuiti dove riceve
un'educazione molto religiosa; poi si laurea in medicina, ma non ha mai
esercitato la sua professione, preferendo sempre a questa la poesia; l'amore
per i classici lo porta a scrivere le Odi in stile oraziano, ma le sue
idee monarchiche lo costringono ad un esilio forzato in Brasile dopo la
proclamazione della repubblica portoghese. Alberto Caeiro:
nato nel 1889 a
Lisbona, si trasferisce giovanissimo in campagna per la sua salute cagionevole;
qui scrive tutta la sua opera, i poemetti intitolati Il
guardiano di greggi e il diario Pastor
Amoroso; Pessoa lo considera come il suo maestro ed è l'unico che muoia
prima del poeta; da notare che la sua morte è avvenuta a causa della
tubercolosi, proprio come era accaduto al padre di Pessoa. Alvaro De Càmpos:
nato a Tavira nel 1890, si laurea in Inghilterra in
ingegneria navale senza però mai esercitare; compone Oppiario,
resoconto di un viaggio in oriente, e l'Ode Trionfale, considerata il
manifesto del Modernismo portoghese; Càmpos è
l'aspetto ribelle di Pessoa, quello che scrive Ultimatum, durissimo
attacco alla lobby letteraria portoghese; le sue ultime opere Anniversario e
Tabacchiera smorzano tuttavia i toni polemici per ripiegarsi su un
nichilismo a tratti ironico; muore lo stesso giorno in cui scompare il vero
Pessoa. Bernardo Soares: questo alter ego è quello che più
assomiglia a Pessoa anche fisicamente; di circa trent'anni, magro, leggermente
ricurvo, vestito trascurato e dal volto pallido; Pessoa racconta di averlo più
volte incontrato in una trattoria della città bassa, entrambi cenavano da soli
alla medesima ora e questo ha fatto nascere l'amicizia; è durante una di queste
cene che Soares consegna a Pessoa il celeberrimo Libro dell'inquietudine.
In uno scritto del 1935 (l'anno della sua morte), Pessoa prova ad esternare
le sue idee politiche e religiose, ma le contraddizioni di quel testo,
probabilmente volute dal poeta stesso, non chiariscono affatto il suo pensiero;
egli dice di ritenere che il sistema monarchico è l'unico
appropriato per una nazione imperiale come il Portogallo, ma allo stesso
tempo lo indica come del tutto impraticabile (senza fornire spiegazioni); lui,
che si dice monarchico, fa intendere che in caso di un plebiscito fra regimi
voterebbe per la repubblica; inoltre ama descriversi come un conservatore di
stile inglese, cioè liberale dentro il conservatorismo e antireazionario. A questo atteggiamento piuttosto contraddittorio riguardo alla
politica, ne segue uno un po' più chiaro circa la religione; dice egli stesso: “Cristiano
gnostico e, pertanto, interamente contrario a tutte le Chiese organizzate, e
soprattutto alla Chiesa di Roma. Fedele alla
Tradizione Segreta del Cristianesimo, che ha strette relazioni con la
Tradizione Segreta di Israele (la Santa Kabbalah) e
con l'essenza occulta della massoneria”. Conclude questo scritto con
l'ammirazione-esaltazione del martire Jacques de Molay,
maestro dei Templari, che si era prefisso di combattere i suoi tre assassini:
l'ignoranza, il fanatismo e la tirannia. In realtà Pessoa era seguace di
un'ideologia mistica chiamata Sebastianismo,
dovuta al re Sebastiano del Portogallo, che nel 1578 si immolò col suo esercito
contro i turchi di Al-Ksar el
Kebir; il suo corpo non fu mai trovato e ciò
contribuì alla nascita della sua leggenda contrassegnata dall'attesa messianica
di un suo possibile ritorno.
Nei molti manoscritti lasciati da Pessoa traspare spesso il suo mal di
vivere; la difficoltà a definirsi e a rapportarsi con l'esterno lo porta a dire
che il mio peggior male è che non riesco mai a dimenticare la mia presenza
metafisica nella vita. Di qui la timidezza trascendentale che mi intimorisce
tutti i gesti, che toglie a tutte le mie frasi il sangue della semplicità,
dell'emozione diretta. Sono un temperamento femmineo con intelligenza
mascolina. La mia sensibilità e i movimenti che da essa procedono, ed è in
questo che consistono il temperamento e la sua espressione, sono di donna. Le
mie facoltà di relazione (l'intelligenza, e la volontà, che è intelligenza
dell'impulso) sono di uomo. C'è tra me e il mondo una nebbia che impedisce che
veda le cose come veramente sono, come sono per gli altri. Ne soffro.
Riporto di seguito la poesia Il Pastore Amoroso, scritta con lo
pseudonimo di Alberto Caeiro, nel cui protagonista
Pessoa si rispecchia perfettamente: una persona che ha perduto qualcosa, che
non è capace di ritrovarla, che osserva quasi immobile l'esterno e
contemporaneamente sente lo stimolo insopprimibile della diversità.
Riferimenti:
Fernando Pessoa, Poesie, ed. Fabbri.
IL PASTORE AMOROSO
Il
pastore amoroso ha perduto il vincastro,
e
le pecore si sono disperse per il declivio,
e,
per il tanto pensare, non ha suonato il flauto che ha portato per suonare.
Nessuno
gli è apparso o scomparso. Non ha mai più trovato il vincastro.
Altri,
imprecando contro di lui, gli hanno radunato le pecore.
Nessuno
lo aveva amato, insomma.
Quando
si è alzato dal declivio e dalla verità falsa, ha visto tutto:
le
grandi valli piene degli stessi verdi di sempre,
le
grandi montagne lungi, più reali di qualunque sentimento,
la
realtà tutta, con il cielo e l'aria e i campi che esistono, sono presenti.
(E
di nuovo l'aria, che gli era mancata tanto tempo, gli
è entrata fresca nei polmoni).
E
ha sentito che di nuovo l'aria gli dischiudeva, ma con dolore, una libertà nel
petto.