Italo
Calvino – La sfida al labirinto
a cura di Katia Ciarrocchi
Il "Labirinto" è il dipanarsi continuo e potenzialmente
infinito delle strade della narrazione. Questo concetto in particolare
caratterizza la produzione del Calvino più maturo che in questo labirinto si
addentra, scoprendone gli artifizi e i meccanismi.
Italo Calvino ha attraversato le esperienze culturali di mezzo secolo e
con uno sguardo acuto ne ha indicato le oscillazioni, i paradossi, le lacune.
Ha cercato di rappresentare le incertezze, le contraddizioni, gli impulsi
dell'intellettuale contemporaneo. In un saggio critico sul Menabò nel ‘62
scrive: «Quel che la letteratura può fare
è definire l'atteggiamento migliore per trovare una via d'uscita , anche se questa via d'uscita non sarà altro che il
passaggio da un labirinto all'altro. È la sfida al labirinto… vogliamo una
letteratura della sfida al labirinto … vogliamo dalla letteratura un'immagine
cosmica…». E così scriverà
Carlo Salinari a proposito de La giornata di uno scrutatore: «Calvino lancia la sfida al labirinto… descrivendoci
il labirinto in cui egli si muove, il groviglio dei problemi a cui non sa dare
una risposta sicura, ma anche la sua volontà di non adagiarsi nel labirinto, di
continuare a pensare e a lottare per uscirne». (Massimo Barile)
«Chi è ciascuno di noi se non una
combinatoria d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni? Ogni
vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un'inventario
d'oggetti, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente
rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili».
«Viviamo sotto una pioggia ininterrotta
di immagini che viene moltiplicata con una fantasmagoria di giochi di specchi:
immagini prive di ricchezza di significato. Una nuvola d'immagini che si
dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria».
«Tra i valori che vorrei fossero tramandati: una
letteratura che abbia fatto proprio il gusto dell'ordine mentale e della esattezza, l'intelligenza della poesia e nello stesso
tempo della scienza e della filosofia».
«L'inconscio è l'oceano
dell'indicibile, di tutto ciò che è stato espulso dalla terra del linguaggio,
rimosso come risultato di un'antica proibizione».
Così aveva scritto Calvino
nell'ultima delle lezioni americane dedicata alla "Molteplicità" che avrebbe letto
all'Università di Harvard se le tenebre non lo avessero avvolto in quell'ultima
estate del 1985: «Chi siamo noi ? Chi è ciascuno di noi se non una combinatoria
d'esperienze, d'informazioni, di letture, d'immaginazioni? Ogni vita è
un'enciclopedia, una biblioteca, un inventario d'oggetti, un campionario di
stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i
modi possibili. Magari fosse possibile un'opera concepita al di fuori del self,
un'opera che ci permettesse d'uscire dalla prospettiva limitata da un Io
individuale… per far parlare ciò che non ha parola, l'uccello che si posa sulla
grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il cemento,
la plastica… Non era forse questo il punto d'arrivo cui tendeva Lucrezio
nell'identificarsi con la natura comune a tutte le cose?»
«…non c'è nessun futuro, non
c'è niente che ci aspetta, siamo chiusi tra gli ingranaggi di una memoria che
non prevede altro lavoro che ricordare se stesso… Viviamo prigionieri
nell'immobilità ridotti ad una comunicazione primordiale ed essenziale fatta
solo di segnali luminosi».
da "Ti
con zero" del 1967, Italo Calvino
«Guadato il fiume, valicato il passo,
l'uomo si trova di fronte tutt'a un tratto la città di Moriana,
con le porte d'alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo
che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro
come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate
sotto i lampadari a forma di medusa. Se non è al suo primo viaggio l'uomo sa
già che le città come questa hanno un rovescio: basta percorrere un semicerchio
e si avrà in vista la faccia nascosta di Moriana, una
distesa di lamiera arrugginita, tela di sacco, assi irte
di chiodi, tubi neri di fuliggine, mucchi di barattoli, muri ciechi con scritte
stinte, telai di sedie spagliate, corde buone solo per impiccarsi a un trave
marcio. Da una parte all'altra la città sembra continui in prospettiva
moltiplicando il suo repertorio d'immagini: invece non ha spessore, consiste
solo in un diritto e in un rovescio, come un foglio di carta, con una figura di
qua e una di là, che non possono staccarsi né guardarsi».
da "Le
città invisibili" di Italo Calvino
«Ci sono giorni in cui ogni cosa che
vedo mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile
comunicare ad altri, definire, tradurre in parole… Sono annunci o presagi che
riguardano me e il mondo insieme: e di me non gli avvenimenti esteriori
dell'esistenza ma ciò che accade dentro, nel fondo; e del mondo non qualche
fatto particolare ma il modo d'essere generale di tutto. Comprenderete dunque
la mia difficoltà a parlarne, se non per accenni».
da "Se
una notte d'inverno un viaggiatore" di Italo Calvino
«Ecco o futuro sono salito in sella al
tuo cavallo, quali nuovi stendardi mi levi incontro dalle torri di città non
ancora fondate? Quali fiumi di devastazione dai castelli e dai giardini che
amavo? Quali impreviste età dell'oro prepari tu, malpadroneggiato,
tu fueriero di tesori pagati a caro prezzo, tu mio
regno da conquistare, tu… Futuro».
da "Il
cavaliere inesistente" di Italo Calvino