Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
 

  Letteratura  »  Qualunque cosa succeda, di Umberto Ambrosoli, edito da Sironi e recensito da Giuseppe Iannozzi 09/12/2009
 

Qualunque cosa succeda

di Umberto Ambrosoli

Sironi Editore

Collana Indicativo presente

Pagg. 317

ISBN 9788851801205

Prezzo  € 18,00

 

 

Vita morte eroicità dell'eroe che mise alle strette Sindona

 

 

Qualunque cosa succeda”, scritto dall'amorevole mano di Umberto Ambrosoli, figlio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca Privata di Michele Sindona, assassinato a Milano da un killer la notte tra l'11 e il 12 luglio 1979 mentre faceva ritorno a casa dopo una serata fra amici, è un libro che in un'ottica di compromissione personale riprende quel discorso di eroicità borghese romanzata da Stajano, di un uomo che operando per il “giusto” ha pagato con la propria vita.
Umberto Ambrosoli ripercorre la breve e intensa vita dell'avvocato, del commissario liquidatore che ebbe la sola colpa – se tale la si può mai considerare – d'aver agito nell'interesse della giustizia, dello Stato italiano, mettendo a nudo gli sporchi intrallazzi finanziari di Michele Sindona. Risalgono al lontano 1971 i sospetti intorno al banchiere siciliano Michele Sindona, anche se già da prima il suo nome era fin troppo ben conosciuto in certi ambienti, tanto che già nei primissimi anni Cinquanta godeva immeritata fama di genio della finanza. Ma è negli anni Settanta che Sindona diventa un pericolo per il sistema bancario italiano e non solo.
La Banca d'Italia, attraverso il Banco di Roma, cominciò a investigare intorno ai due istituti, Banca Unione e Banca Privata Finanziaria. L'allora Governatore Carli, nonostante l'evidenza che si era di fronte a una frode colossale, accorda un prestito a Michele Sindona nel vano tentativo di non far fallire i due istituti di credito da esso fondati. Il Direttore Centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, fu incaricato di effettuare le transazioni necessarie: ecco così che le due Banche – che fanno capo a Sindona – si fondono per dar vita alla Banca Privata Italiana di cui Fignon divenne Vice Presidente e Amministratore Delegato. Ben presto Fignon comprese d'essersi cacciato in un impiccio di proporzioni colossali, per cui decise per una immediata sospensione. La decisione a Roma non piacque affatto, tanto più che il banchiere siciliano gode purtroppo di altolocate conoscenze tra le fila della DC nonché del Vaticano. Sul finire del 1974 Fignon presentò la sua relazione circa l'effettivo stato di salute della Banca. Giorgio Ambrosoli fu dunque ordinato unico commissario liquidatore. Ambrosoli consapevolmente si gravò del compito di esaminare tutte le operazioni finanziarie legate a Michele Sindona o ad esso riconducibili. Furono anni di duro lavoro: l'avvocato arrivò a dormire poche ore a notte, due o tre, come racconta il figlio in “Qualunque cosa succeda”.
L'avvocato non si risparmiava: irregolarità, falsità, tutto fu messo a nudo, e di conseguenza tutto l'operato di Michele Sindona si rivelò per quel che era in realtà, una truffa colossale che al Paese era già costata fin troppi miliardi. Invano Sindona cerca di corrompere il commissario liquidatore. Nel 1975, Ambrosoli conscio del pericolo cui si stava esponendo, scrisse alla moglie: “Anna carissima, è il 25/02/1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Vertozzo e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. E' indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell'Vmi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant'anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l'incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo e ho sempre operato – ne ho piena coscienza – solo nell'interesse del Paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: e hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici
comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [ .. ]
”.
Non senza problemi, Ambrosoli arriva a definire in maniera irrevocabile le responsabilità di Michele Sindona. Il clima che l'avvocato Giorgio respira è di piombo. Si è sul finire degli anni Settanta e non si sono spente ancora le rivendicazioni delle Brigate Rosse né quelle del Movimento Sociale Italiano: la violenza è tanto a destra quanto a sinistra, nessuno è innocente. I morti a fine anno sono tanti, par quasi di avere davanti agli occhi un bollettino di guerra. L'Italia è poi sotto l'egida della DC, di Fanfani, di Andreotti. Non sono tempi storici facili, men che meno per un uomo come Ambrosoli che intende servire al meglio il suo Paese.
Il 12 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli avrebbe dovuto sottoscrivere una formale dichiarazione: l'inchiesta che l'aveva occupato per tanti anni era finita. Restava sol più d'arrivare al 12 luglio. Ma l'11 luglio 1979, mentre l'avvocato tornava a casa dopo una serata trascorsa assieme agli amici, viene raggiunto da un sicario. Non fa a tempo ad aprire il portone di casa. Da una 357 Magnum gli vengono esplosi contro tre colpi. William J. Aricò, sicario fatto venire dall'America, pagato con 25mila dollari in contanti e altri 90mila su un conto bancario svizzero, per conto di Michele Sindona a sangue freddo ammazza Giorgio Ambrosoli. Il 14 luglio 1979, ai suoi funerali, non presenziò alcuna autorità di governo. Mezza Dc aveva contatti con Sindona. Il suo ‘piano' aveva l'appoggio, o almeno l'interessamento, di Evangelisti, De Carolis, Fanfani, lo stesso Andreotti.
Non è un caso se Sindona donò al governo due miliardi per finanziare il referendum sul divorzio. Papà non ha mai avuto la solidarietà del governo, né della collettività. E non credo che l'avrebbe nemmeno oggi. Di Sindona in giro ce ne sono tanti. Così come ci sono gli interessi particolari, le deformazioni del rapporto tra finanza, impresa, mondo politico, basti pensare al caso Alitalia. Per questo la storia di papà è ancora attuale. Si scontrerebbe con gli stessi ostacoli, pressioni, l'indifferenza della società, che dopo trent'anni non ha ancora acquisito il valore della legalità. Ma oggi come allora papà sarebbe andato avanti. Spesso si crede che se l'illegalità cresce fino a diventare ‘sistema', il cittadino non può far altro che adeguarsi: mio padre ha dimostrato che una scelta esiste sempre
”.
L'Italia degli anni Settanta, o di Michele Sindona, della DC e di Giulio Andreotti, è poi la stessa che viviamo oggi: garantire la giustizia è pressoché impossibile, nonostante i politicanti ogni giorno si spendano in fallaci rassicurazioni che non bisogna essere catastrofisti. Il Paese vive nella corruzione; la pagina della cronaca nera è ogni dì un bollettino di guerra; le tragedie, le morti bianche non mancano mai; scandali finanziari a iosa, sia per le aziende private sia per quelle riconducibili allo Stato per mezzo di sovvenzioni. Lo scontento del popolo italiano è forte, così tanto che sono tornati in strada gli eredi delle Brigate Rosse nonché dei movimenti nazifascisti.
In un Paese così, nelle condizioni in cui oggi versa, la lezione di Giorgio Ambrosoli è quanto di più attuale possa esserci. Se “Un eroe borghese” di Corrado Stajano è fondamentale, lo è ancor di più “Qualunque cosa succeda” di Umberto Ambrosoli: la vera storia di un uomo diventato eroe perché consapevole che una scelta esiste sempre.

 

Umberto Ambrosoli, classe 1971, è avvocato penalista a Milano. È il più giovane dei tre figli di Giorgio Ambrosoli. Da anni è impegnato a valorizzare e attualizzare la storia del padre, partecipando a incontri nelle scuole di tutta Italia, a convegni e a iniziative pubbliche ed editoriali.

 

Giuseppe Iannozzi

 

www.liberolibro.it

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014082092 »