La messa dell'uomo
disarmato
di Luisito Bianchi
Sironi Editore
Narrativa romanzo
Pagg. 860
ISBN: 88-518-0024-3
Prezzo: € 19,00
«Cominciavi, così, la tua opera di
dissodamento per spalancarmi davanti quel mistero dell'uomo che tu non volevi fosse
in contrapposizione e, tanto meno, in contraddizione con quello di Dio. Ero una
pianticella assetata, le cui deboli radici s'aggrappavano alla tua voce per
calare sempre più profondamente nella mia umanità, portando con esse, per
quanto il peso fosse sproporzionato, le vicende di tutti gli uomini conosciuti
e sconosciuti che popolavano i lunghi corridoi del monastero e mi seguivano
mentre mi recavo in coro per il canto del divino ufficio.»
«La guerra scoppiò quando il frumento cominciava ad
avvolgersi della sua veste di grazia e le ultime more sui gelsi morivano di
troppa dolcezza. Tutta la gente del paese doveva essere presente in piazza
davanti al municipio, sul cui balcone il podestà aveva acceso la radio a tutto
volume. Toni non c'era, e nemmeno il fabbro, il professore, l'arciprete e
Rondine, il nostro martire. Io c'ero. Dovevo rappresentare anche mio padre; due
erano troppi, ma uno era necessario, mi aveva detto.»
«Nei primi mesi del ‘44, nessuno ignorava che sulle
colline e sulle montagne c'erano i ribelli a combattere i fascisti e i
tedeschi, e che fra i ribelli si trovavano Stalino,
Piero e Rondine. Ma le montagne erano lontane, i ribelli erano lontani, i
fascisti e i tedeschi erano lontani. La guardia comunale era come se non ci
fosse. Dalla casa del fascio della città non gli telefonavano più. I giovani
richiamati alle armi o erano in Germania, o alla TODT, o se ne stavano
tranquillamente a casa. I primi momenti, quando in paese correva veloce la
notizia, quasi sempre falsa, dell'arrivo dei fascisti, i renitenti alla leva,
così li chiamavano, scappavano nei campi; poi, non essendovi mai stata una
retata, ci fecero l'abitudine e non scapparono più.»
«Si trovò vicino al cimitero che battevano dalla
torre le undici. La ghiaia sotto le ruote del carretto gli ricordò Giuliano e
il suo asino. “A quest'ora l'asino ragliava, sempre pieno di fame come il suo
padrone”. L'asino di Giuliano lo portò a Raglio, all'enorme scoppio che aveva
dilaniato l'amico, al nome di Giovanni che avrebbe dato al bambino…»
(da “La messa dell'uomo disarmato”
di Luisito Bianchi)
Difficile raccontare “La messa dell'uomo disarmato” di Luisito Bianchi, un romanzo che si
configura come alta Letteratura, Letteratura come non se ne vedeva dai tempi di
Beppe Fenoglio, da quando fu
dato alle stampe quello che è ormai un classico della storia italiana, “Il Partigiano Johnny”. Luisito Bianchi affronta la guerra, l'8
settembre 1943, il dolore con rigore scomposto, nervoso, ma sempre dignitoso,
fortemente umano. Intendiamoci, Luisito Bianchi non è
Fenoglio, ma non gli è da meno. E' assurdo pensare come questo romanzo sia
stato lontano dalle librerie per così tanto tempo, uno scritto esemplare che è
circolato quasi clandestinamente tra pochi-tanti amici e che quasi per caso è
stato notato e pubblicato. “La messa
dell'uomo disarmato” circolò in edizione autoprodotta e
autofinanziata tra il 1989 e il 1995; si può, a ragione, dire che il romanzo è
già stato da molti letto e apprezzato al di fuori del
consueto mercato librario, diffondendosi “di mano in mano, da amicizia ad
amicizia”. Ma questa è un'altra storia, affascinante, ma che preferisco che a
raccontarla sia qualcun altro. (Leggi Paola Borgonovo)
Ciò che mi preme è evidenziare come “La
messa dell'uomo disarmato” è il vero caso editoriale degli ultimi
vent'anni.
Era l'8 settembre 1943 e con un messaggio alla radio del capo del governo
Badoglio viene resa nota la notizia dell'armistizio, firmato segretamente il 3
settembre a Cassibile, in Sicilia, dal
plenipotenziario italiano generale Castellani e dal generale americano Smith.
L'Italia piomba nel più totale caos. E in mezzo al caos quasi impossibile da
governare, il Re Vittorio Emanuele III e Badoglio decidono che è giunta l'ora
di abbandonare Roma: a bordo di una nave da guerra, da Pescara raggiungono
Brindisi, nella zona già occupata dagli Alleati. Ed intanto l'esercito,
lasciato in balia di sé senza aver ricevuto ordini precisi, quasi ovunque si
dissolve. Nei giorni precedenti i tedeschi avevano fatto affluire rinforzi dal
Brennero, occupando di fatto la penisola italiana,
disarmando e catturando migliaia di militari italiani, in Grecia, in Albania,
in Jugoslavia e sugli altri fronti, per avviarli alla prigionia in Germania.
L'annuncio dell'armistizio è uno sfacelo per l'esercito italiano: si contano
60.000 morti e dispersi e almeno 550.000 deportati in Germania; pochi i
superstiti, molti fuggono verso casa, molti prendono la decisione di consumare
la loro vita a favore di bande partigiane, quelle che animeranno la
“Resistenza”. E' così che gli antifascisti mettono in piedi il Comitato di liberazione nazionale, chiamando il popolo “alla
lotta e alla resistenza”. Da evidenziare che la notizia dell'armistizio era
stata tenuta segreta per evitare la reazione dei tedeschi, in vista del
progettato aviosbarco di truppe anglo-americane a Roma. “Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare l'impari lotta contro la
soverchiante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più
gravi sciagure alla nazione, ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower,
comandante in capo delle forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata
accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane
deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse
però reagiranno ad eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza”, questo il proclama del generale Badoglio alla
nazione. Tuttavia tutta l'operazione si rivela ben
presto grandemente rischiosa, e presto si decide per il suo annullamento: la
Capitale, dopo una resistenza al limite delle forze e del coraggio, dopo una
resistenza cui partecipano molti civili, cade nelle mani dei nazisti. Il 9
settembre gli Alleati sbarcano a Salerno, dove però rimangono bloccati alcuni
giorni a causa della feroce resistenza che i tedeschi oppongono dalle colline
che circondano la zona di sbarco, ritardandone l'avanzata verso nord. Il 10
settembre i tedeschi ottengono la resa dei contingenti italiani posti a difesa
di Roma. Il 12 settembre il piano di invasione tedesco è concluso e il Paese è
diviso in due zone, il Regno del Sud e l'Italia “occupata” al nord, dove – a
seguito della liberazione di Mussolini, che avviene su ordine di Hitler – verrà
costituita la Repubblica Sociale Italiana.
Ma chi è Luisito Bianchi? In breve: è nato a
Vescovato, in provincia di Cremona, nel 1927 ed è sacerdote dal 1950. La sua
vita nutre la sua opera: è stato insegnante e traduttore, prete-operaio e
inserviente d'ospedale. Attualmente svolge funzione di cappellano presso il
monastero benedettino di Viboldone (Milano). Ha
pubblicato: Salariati (1968), Come un
atomo sulla bilancia (1972), Dialogo sulla gratuità (1975), Gratuità tra
cronaca e storia (1982), Dittico vescovatino (2001),
Sfilacciature di fabbrica (1970; riediz. 2002), Simon
mago (2002). Con “La messa dell'uomo disarmato”
pubblicato – finalmente – da
Sironi nella collana indicativo presente.
Luisito Bianchi ha consegnato “definitivamente” alla
storia un altro pezzo di Storia, che è impossibile dimenticare, che è
impossibile non sentire nell'anima come nel corpo, perché ogni parola
dell'autore è una ferita che si apre nel lettore.
Come nasce “La
messa dell'uomo disarmato” è spiegazione che Paolo di Stefano
affronta nel suo articolo, “Don Luisito, la religione della Resistenza” (17 –
10 – 2003) e che qui riporto in parte a puro titolo esplicativo: “Don Luisito fatica a
parlare del suo romanzo.
C'è in lui un che di fierezza e di fragilità. «Sono storie – dice – che ho
vissuto come avventure interiori: mi sono formato uomo negli anni della guerra
e questo romanzo è nato dal desiderio di dare un senso alla mia vita». Dopo il
seminario e la laurea con Alberoni sui contadini della Val
Padana, Luisito Bianchi nel ‘64 viene inviato alle
Acli di Roma; ma non si sente a suo agio nel ruolo di prete così come viene
inteso dalla Chiesa. Nel febbraio del ‘68 è operaio alla
Montedison di Spinetta Marengo (Alessandria), turnista all'ossido di titanio:
«Fu allora che cominciai a riflettere sulla Chiesa come fonte di denaro e di
potere: non volevo essere pagato in quanto sacerdote, perché l'annuncio del
gratuito deve essere fatto gratuitamente. Per capire, iniziai una
ricerca sulle Scritture e sulla storia». Da allora don Luisito
non percepisce un centesimo come prete. Nel ‘71 è benzinaio a Milano: «in
accordo con il vescovo». Dal ‘75, dopo un grave incidente d'auto, lavora come
inserviente in ospedale e poi infermiere. La svolta avviene quando sua madre si
ammala: «Cominciai a scrivere al suo capezzale,
rivedevo la mia vita. Non so che cosa sia capitato, all'improvviso. Certe scene
le avevo maturate da ragazzo in seminario. Mi addormentavo e nel sonno ero in
montagna a combattere. Fu la mia spina. Per anni ho dovuto perdonare a me
stesso di non essere lì a combattere, di non essere morto come Rondine. Allora
a un certo punto mi sono chiesto: che cosa posso fare per onorare i nostri
morti? Volevo esprimere il mio grazie alla Resistenza». Il lavoro di don Luisito diventa uno scavo nella memoria dell'infanzia e
dell'adolescenza, nelle inchieste sui contadini fatte per la tesi, nei libri: «L'abate rievoca padre Escarrè,
esiliato da Franco, che conobbi negli anni ‘50, e il suo monastero è diventato
un luogo della fantasia. La geografia è quella dei miei luoghi e gli episodi
che narro li ho vissuti in parte: l'8 settembre mio padre mi diede una
rivoltella, con la quale dormivo, di giorno la mettevo dentro il pianoforte,
perché c'erano i tedeschi che giravano». E la scrittura, questo strano stile,
preciso, epico, che evoca le parlate dialettali senza essere neorealista? «Viene
dal filtro della memoria come attualizzazione dei fatti, io ho sempre pensato
in dialetto e solo a dieci anni ho imparato l'italiano». Nel ‘76 il vescovo gli
propone di insegnare religione al liceo: «Gli risposi: io parlo di Dio
gratuitamente, non ritirerò mai l'assegno mensile». Don Luisito
viene a Viboldone, la mattina è per il romanzo, il
pomeriggio studia e traduce per vivere. Cinque anni dopo, il saggio sulla
gratuità e il romanzo sono chiusi. «La Resistenza per me è nel dare senso alla
mia vita di prete e di uomo e la gratutità nacque con
San Paolo e fu cancellata dal Concilio di Trento».
Il romanzo vive varie disavventure
editoriali, non solo per la mole (quasi 1500 pagine), e viene rifiutato da
alcuni editori cattolici. Don Bianchi ci rimette le mani: «Feci
uno sforzo più grande di quello di scriverlo, ma mi sentivo questo obbligo e
lavorai ancora per cinque o sei anni. Volevo trasmettere l'incontro con i miei
personaggi che sentivo esistenti, persone che non hanno fatto altro che patire,
come Giuliano, che morì sotto i bombardamenti mentre andava per le montagne con
il suo asino». Un amico si propone di pubblicarlo a proprie spese con il titolo
suggerito dal prof. Marzio Pieri, il qual nel
risvolto di copertina esprimeva il suo entusiasmo citando Meneghello,
Rosetta Loy, Giorgio Prodi, Pupi Avati. «Mio papà parlava poco, era un verniciatore – ricorda don Luisito – sosteneva che i preti non hanno cuore. Mentre ero
diacono, venne da me per chiedermi di venir via. Vedendo la mia ostinazione mi
disse: “Se vuoi fare il prete, almeno fallo giusto…” ma non ho rimpianti, io
sono un povero diavolo e resisto. In fondo è stata la Chiesa a insegnarmi la
religione della Resistenza».” E Giuseppe Genna,
su “I Miserabili”, scrive: “La messa dell'uomo disarmato iscrive in questo
modo la Resistenza nella storia sacra: storia dell'”avvenimento” . Riattualizza la parola sacra, evoca la Parola. E' una
Parola certo scritturale, guarda alla Bibbia soprattutto. Però non in maniera
invasiva o, peggio, evasiva. Non è che il campo arato dai contadini della
Campanella sia precisamente il campo di frumento delle parabole evangeliche:
però è certo che, in un qualche modo, ha a che fare con quello. In un tempo che
richiede a chi si senta umano di resistere, toccare la storia letterale della
Resistenza è un dovere, ma è anche un diritto. Che mondo è quello disabitato
dagli uomini? E' certamente un mondo, ma non è più un mondo umano. Don Luisito Bianchi ci racconta la storia di sempre, la storia
delle storie: la storia della pervicacia e della spesa di sé con cui l'uomo
affronta l'impossibilità della propria scomparsa dal mondo.”
Ritratto doloroso d'una Italia inserita in un
microcosmo che vive le sue paure incertezze drammi sociali e personali nel
“rurale”, nella imperfezione d'un tempo sociale bruto, così Franco è costretto
ad abbandonare il tranquillo idillio del suo monastero benedettino, è costretto
ad abbandonare il noviziato e quindi a far ritorno alla cascina dei Genitori,
La Campanella. La sua decisione è quella di “essere” contadino ma l'Italia
entra in guerra. Piero, fratello di Franco, è invitato come
ufficiale medico in Grecia: miracolosamente riesce a salvarsi la pelle e rientra in Patria
dopo pochi mesi, ma sono stati mesi d'inferno freddo, senza umanità: ha le
estremità, i piedi, semicongelati, ed intanto la campagna
di Russia ha già chiamato altri giovani, altre vittime ad immolarsi per la
campagna di Russia. Franco racconta, racconta, racconta ancora, racconta
facendo perno sulla Campanella ma includendo in essa la vita tutta dell'intero
paese, un mondo che appartiene ai contadini, agli operai e alle operaie, ma
anche agli ambulanti, persino ad un maresciallo dei carabinieri e ad un
segretario del “fascio”, un po' meno a un “misterioso” professore che sembra
essere in odor di “Socialismo”. E l'8 settembre 1943 è l'occupazione nazista,
ma è anche il tempo per affrontare a muso duro delle scelte, forse troppo
radicali, forse necessarie, ma forse, alla fin dei conti,
inutili o comunque vane. Ed ecco la Resistenza, quella che parte dall'anima di
tante bande partigiane che sentono la terra e il suo dolore come fosse il loro proprio perché “è parte di loro uomini”: Balilla,
Rondine, Stalino, Piero, Sbrinz, appartengono tutti a
una stessa uguale umanità, quella che ha le sue radici nella “poetica della
terra” e “in quanto essa sa offrire loro” senza nulla pretendere in cambio,
forse solo il sangue, perché la terra quando attaccata invita gli uomini ad
essere difesa. I resistenti sono costretti-volenterosi
a trovare riparo presso il monastero dove Franco porta avanti il suo noviziato.
Dom Benedetto invece decide di seguire le bande lungo
le montagne armato solo d'una genuina “disarmatezza”, lacerato da dubbi gordiani, ma il suo
sentimento precipuo è tutto dedicato alla ricerca d'una fraternità forse
impossibile. Mettendo a repentaglio la sua stessa vita per proteggere i
partigiani affidati alle sue cure spirituali, l'Abate (ri)trova
quel sentimento di fraternità che altrimenti non sarebbe stato possibile. Si
alternano le stagioni, i personaggi e le vite: e così si arriva al «primo anniversario della liberazione… Rondine
l'hanno voluto ricordare con una via intitolata a Spartaco 1900-1945 detto
Rondine, eroe della libertà. E' la via principale del paese, dedicata una volta
a Umberto I. Metà scarsa del paese sa ancora chi è Rondine; l'altra metà
abbondante, lo ignora e non se ne cura di sapere. La prima scomparirà
scaglionata in pochi lustri, da contarsi sulle dita di una mano; e nuova gente
verrà a rimpolpare la seconda e l'ignoranza su Rondine di cui nemmeno
l'archivio dei carabinieri ha conservato traccia.».
La Storia è nella terra.
“La Messa ritorna
romanzo, l'allegoria popolare, volgare (sinite parvulos…) dovrà farsi messa solenne, la storia misurarsi
con la Storia (La Storia della Morante, che si provò a misura di melodramma e
di favola, tra Les Misérables
e il Trovatore, resta ancor oggi il libro più odiato, e meno inteso, della
letteratura italiana recente). Ma una cosa non può essere tolta: la Messa di Luisito è nella terra.”,
spiega Marzio Pieri nella postfazione a “La
messa dell'uomo disarmato”. Siamo di fronte a un grande
romanzo, a un capolavoro vero:
questa volta indicare “La messa dell'uomo disarmato” come un capolavoro non è
esagerazione critica. Il lavoro di Luisito Bianchi è
romanzo come da vent'anni a questa parte l'editoria italiana non promuoveva. In
Luisito c'è il dolore, la guerra, la Resistenza, ma
c'è anche Amore, Pietà e un quasi sbigottimento davanti alla Morte che non sa
concedere pietà agli uomini. Ma Luisito sa che è la
pietà a far “essere” partigiani gli uomini, sa che la terra è la poetica che dà
vita alla Resistenza, sa che il dolore è il Dolore e che non può essere negato
con un colpo di spugna ma non dimentica che deve essere compreso affinché non
sia eterna malattia dell'animo. E poi c'è la Memoria, sì, la Memoria che è
sempre poca per alcuni, ma non per l'Autore che magistralmente la ripercorre
anello dopo anello, filo intrecciato dopo filo, partigiano dopo partigiano,
uomo dopo uomo, per disegnarla tutta con dolore, pietà, con Umanità. La Grande
Storia si chiude nella piccola grande storia degli uomini che hanno combattuto
per la libertà, che hanno fatto la Resistenza.
“La messa dell'uomo disarmato”
di Luisito Bianchi è il romanzo che mancava
dopo “Il partigiano Johnny”, è il naturale completamento della Storia della
Resistenza, degli uomini che fecero la storia con le loro vicissitudini-storie,
ma nutro il legittimo sospetto che sia molto, molto di più.
Giuseppe Iannozzi