Nutrimenti
per l'anima di M. Teresa Santalucia Scibona.
Una
conversazione e un libro.
di Simona Lo Iacono
La poesia scava. E' l'arma dei giusti. Il grido. E' la verità che
trova parola.
Non ha necessariamente una veste. Non deve raccontare una storia.
La poesia è nata per tradurre un affioro di noi.
Un'intuizione. Un guizzo o un desiderio.
Un dolore.
Da buona siciliana avvezza ai miti non ignoro che il suo spirito
ha radici misteriose. A Mineo, ad esempio, dove
Giuseppe Bonaviri è nato e dove il poetare era
riservato alla notte, alle infumate di pane attorno a
un focolaio, alle donne inginocchiate a spampinare cesti o a ricamare corredi,
a Mineo, dicevo, esiste una pietra che la leggenda
vuole ispiratrice di energie poetiche. Basta sedersi lì, dicono. E la voce
scheggia impazzita, si riappropria di te. Ti si fa innanzi come una vestale che
si offra all'uomo.
Non so se M. Teresa Santalucia Scibona abbia mai sfiorato la pietra. Se mai abbia risalito
le straduncole di Mineo o
se il canto le si sia frastagliato addosso zampillando dal cuore del sasso.
Ma se la natura trascolora dal cielo all'uomo, lei deve essersi
trovata frammezzo a questo passaggio, deve averne forse aspirato una folata.
O deve avere vegliato molte notti sottocoperta, dove le folaghe
dei venti arrivano da sud. Da quella pietra che venti di poppa e di prora
sospingono ovunque.
Perché la sua poesia nasconde una radice di terra. Un'assonanza
rapitrice con le forze primitive dell'uomo. Un inno travolto e scheggiato. La
metafora, sempre travalicata dalla pietà, di noi.
Maria Teresa incanta la parola, la piega alla denuncia, alla
domanda, alla commozione. Non fugge mai il senso. Non crede alla sorte.
In “Nutrimenti
per l'anima” (Joker, pagg 70, € 11,00)
è un viaggiatrice che naviga con bussolame ben
piantato, con orpelli di nostromo esperto. Sa – e la scia delle correnti non la
confonde – che la vita è stuporosa visione. Che va decifrata. E che i segnali
sono le parole.
Così fa affiorare il canto. Affidandosi alla rotta, moderando un
timone che non sfugge mai alla presa, dipanando la metafora della realtà con
l'occhio sbendato d'una esperta conoscitrice delle
regioni dell'anima.
Per esempio quando svela che “solo
più adulto/ disincantato e stanco/ troverai l'approdo sicuro/ dove serrare le
vele” (Inquietudine). O quando, con liberato amore per l'uomo, ne traduce
l'ambivalenza, l'altalenante condizione : “tra fiori e paludi/ tra croci e bandiere/ si
dibatte” (Compromesso). O ancora là
dove, sverginando i sogni della prima giovinezza, si affida a una memoria
comunque dolce, risanata dalla parola : “Tento di destreggiarmi fra secche/ e
marosi, ora che la sorte/ meschina ha profuso livide/ ferite come vino
sprizzato/ dal torchio, come grandine/ che l'erba trincia”(In rue des Bouchers).
La poesia in Maria Teresa non è mai astrazione, fuga dalla
responsabilità, disimpegno. Lacrimata e struggente, rimpianta e sempre espiata,
è la vita a fiocinare il verso, a farsi deserto, sete, orcio.
INTERVISTA
DI SIMONA LO IACONO
Maria Teresa in che modo nasce una poesia?
Almeno per me, un testo non
è mai frutto di improvvisazione.
Di getto posso scrivere una
frase che vortica con insistenza nella mente o un'idea che suscita la mia attenzione,
subito le fermo per non dimenticarle.
Una poesia può lievitare
dentro di noi per gli spunti più diversi, per il fascino misterico dei luoghi visitati, per la
capacità evocativa di una musica o di un
‘opera d'arte, per l'incontro fortuito con una persona speciale che ci
attragga.
Un ottimo motivo potrebbe
essere, lo stupore suscitato nello scrutare le onde marine infide, seducenti,
imprevedibili e bellissime. Oppure nel ritrovarsi a stretto contatto con l' opulenta magnificenza della natura,
lasciandosi incantare dalla millenaria ritualità dei gesti dei seminatori ( es. Il
pane quotidiano).
Magari, il volere immaginare gli arcaici
istinti nel seguire idealmente, la silente transumanza
dei pastori. (come nel testo “ Vita di pastore”).
Tuttavia, l'elaborazione e
l'architettura di
ogni opera costituisce un lungo processo di
riflessione, di ricerca formale e dei contenuti.
Mi piace esaminare con
attenzione, l'effetto sonoro della parola usuale o desueta, che appaghi interamente la musicalità
del verso e il mio interiore concetto di senso
estetico.
Oltre all'artificio dei vocaboli e degli aggettivi, adotto spesso l'espediente
di simboli e metafore.
Così, nel volume “ L'amore imperfetto”, ho tentato di analizzare
con occhio disincantato, oserei dire malizioso, i sottili veleni
dell'amore, per indagare a fondo, la variabile gamma dei sentimenti affettivi, (come un ossessiva gelosia), con la quale riusciamo a
complicare le nostre labili esistenze.
Mi identifico alquanto, nel verso del mio
amico poeta e concittadino Cesare Viviani :
“ Scrivere come leggere
una poesia è una
esperienza formativa.
Ti confronti con
l'inafferrabile.”
E' la vita a tradursi in parola o è la parola a svelare la vita?
Ritengo che questi due concetti si leghino e si completino fra
loro.
Nel mio caso, è il desiderio di non lasciarsi coinvolgere ed
annientare dalle spire insidiose della mia invalidante malattia, divenuta da trentatre anni,
una scomoda e inseparabile compagna.
Senza pietosi compatimenti, mi sono imposta di sopportare con
serena accettazione, una vita irta di ostacoli e lastricata da una vasta
tipologia di barriere. Pur sembrando un paradosso, tale sfida ha anche dei
risvolti positivi poiché la disabilità mi ha insegnato a potenziare quel
piccolo margine di azione che mi è rimasto e mi ha fatto rispolverare le cose
veramente essenziali per l'essere umano,
come l'insopprimibile dignità della persona.
Mi piace citare una frase
significativa del protagonista che il mio amico Giampaolo Rugarli,
fa dire nel romanzo autobiografico “ Nido di Ghiaccio” Mondadori Editore (1989),
selezionato al Premio Campiello:-
“..all'interno dei confini non avrei mai scoperto
un mare più vasto e più profondo di
quello che fiottava dentro di me.”
In tal senso lo scrivere è divenuto per me, una impellente
necessità che mi affranchi dai ristretti limiti del mio corpo e mi permetta di
esternare sentimenti che non siano solo miei, ma che rispecchino una valenza universale.
Spesso le tue poesie hanno l'andamento solenne di un salmo biblico.
Specie “ Esortazione” che, infatti
si apre con un epigrafe di Isaia.
Tale prerogativa, è frutto
di quotidiana frequentazione dei Sacri Testi, la cui suprema testimonianza, mi ha insegnato la ricerca della verità, un giudizio obbiettivo e pacato degli eventi
da esaminare e un insaziato desiderio
di giustizia sociale verso gli ultimi e gli
emarginati.
Ho citato Isaia perché nutro una predilezione
speciale per Lui e forse perché lo conosco meglio.
Ogni profeta viene scelto
da Dio e diviene un portavoce della Sua volontà divina. Oltre al carisma della veggenza, il
contemplante rappresenta una salda guida spirituale nei momenti cruciali del
popolo eletto.
Isaia, figlio di Amoz, era nobile di nascita, dai biblisti viene incluso fra i
profeti maggiori, ossia coloro che oltre
a servirsi dell'oratoria furono anche scrittori.
Molti, per il suo linguaggio, metaforico lo
reputano un magnifico poeta.
Egli attuò il suo
ministero profetico sotto quattro re, nel periodo prima dell'esilio degli ebrei
in Babilonia dall'800 al 600 a.
Cr..
Isaia, nella prima parte
detta, Libri dei giudizi di Dio, è ricordato per le
sue rampogne (3,14) per esortare le donne a non essere seduttrici, a vestirsi con virtuosa modestia
per evitare i celesti castighi, per gli oracoli
su Giuda e Gerusalemme e contro le altre nazioni..
Egli, inoltre viene ritenuto il profeta
della fede e annunciatore messianico per
eccellenza.
Il monito del testo “Esortazione”( 63,3), è tratto dal
capitolo “ Il Torchio della Divina
Giustizia”.
Nella composizione come
del resto, in “ Lamento di una madre”, ho voluto esternare l'orrore profondo per la
guerra, per le efferate crudeltà sciolte nel sangue innocente.
In ogni parte del mondo,
nessun governo fa mai tesoro delle negative esperienze che annienteranno il
destino di
centinaia di persone .
E tuttavia è consolante
constatare che persino in questi tragici frangenti, dove la vita e la morte si
inseguono, si possono verificare, mirabili eventi, ad. es. un improvviso e
generoso
gesto di eroismo, il miracolo dell'amore
sbocciato fra due esseri nemici, la nascita di una tenera creaturina, che attesti come la vita continui fra le rovine e le macerie.
Quando la parola del
verso si traduce in salmo?
Non posso giudicare se i miei versi siano
riusciti a tanto, immagino che ciò
avvenga quando sia stata assimilata e
decantata la ricchezza meditativa della Bibbia.
Nel mio poemetto Mosè,
oltre alle vicende per
giungere alla Terra promessa, ho tentato di tradurre il suo pensiero religioso,
le complesse leggi ebraiche e le simbologie.
Il testo è stato scritto in
sette anni con tanta passione e tremore.
Come l'Inviato, mi sentivo balbuziente ed inadeguata per l'improbo
compito che volevo perseguire. Reputavo, la
grandiosa figura di Mosè, molto moderna ed attuale.
Anche noi
non siamo mai contenti di ciò che la vita ci offre ogni giorno e attraversiamo
un deserto di amarezze nella speranza di giungere alla Terra promessa .
Inoltre il mio tenace anelito, era quello di dimostrare l'amore
misericordioso di Dio per il suo popolo e per tutti noi.
Borges diceva:- I libri
della biblioteca sono senza lettere. Se li apro mi appaiano”.
E' così per te?
Jorge
Luis Borges è uno degli scrittori che prediligo, nei miei tentativi poetici,
come monito ho sempre optato per la sua frase nella quale meglio mi rispecchio:-
-“ Non senza una certa logica amarezza penso che le parole essenziali che
mi esprimono sono in quelle pagine che non sanno chi
sono io, non in quelle che ho scritto.”
Dolce Tessy,
un augurio è un sogno da realizzare. Ci parli dei prossimi progetti letterari?
Malgrado l'età che incombe,… inediti diversi
scalpitano nel cassetto:
Un diario, che testimoni le traversie di quando mi sono operata a
Marsiglia (1983), per potermi
alzare, dopo sei anni, dall'odiosa sedia
a rotelle…
Il desiderio di assemblare e pubblicare tutte le mie poesie
religiose.
Coltivare l ‘esile speranza di rieditare
il Mosè, considerato da alcuni critici
la mia opera migliore.
Reputo il poemetto, per la sua scarsa
diffusione nelle librerie, come un figlio mai nato, anche se nelle Chiese è
stato ben accolto e declamato più volte.
Terminare e rivedere i
venti capitoli su
l'opera “ Giobbe”, interrotto bruscamente alla fine di un verso, quando andando in terrazza per riordinare le
idee, sono inciampata nello scalino, mi sono rotta il piede, il braccio, la
testa e sono rimasta bloccata a letto per
oltre due mesi.
Avere il temerario coraggio
di pubblicare alcuni racconti ironici e non, che per ora non ho voluto
presentare….
Deliziosa Simona, i miei
progetti ti sembrano troppi? Del resto,
mia cara, - se tarpiamo i nostri sogni, forse ci accorciamo la vita… –
Grazie di vero cuore.
La tua Tessy
L'intento del mio tenace anelito è il desiderio profondo e insaziato di giustizia.
Nutrimenti
per l'anima
di Maria Teresa Santalucia
Scibona
Edizioni Joker
www.edizionijoker.com
Poesia
Pagg. 74
ISBN 978-88-7536-228-7
Prezzo € 11,00