La lettera di
Newton di John Banville, Guanda
John Banville
e un labirinto di travisamenti
Chi ha apprezzato Il mare (Booker Prize
2005), Dove è sempre notte, Un favore personale e Isola con fantasmi di John Banville – uno dei più noti ed acclamati
scrittori irlandesi - questa volta, nel suo nuovo romanzo La lettera di
Newton (Guanda, pp. 126, euro 12,50), troverà anche un afflato romantico che
non era proprio ad un autore che ci aveva abituati a un clima labirintico e
tenebroso che gli è del tutto congeniale.
Una nota in più, dunque, in una scrittura sempre tagliente come un rasoio,
capace di trascinarci dentro il rimbalzo di un gioco di specchi dove la realtà
si riflette deformata, mantenendo un senso dell'arcano anche nell'apparente
semplicità.
Teatro dell'azione è « un tetro edificio coperto di edera e con i muri
scrostati e una lunetta a ventaglio sbreccata sopra la porta, il genere di
posto dove immagini una figliastra pazza rinchiusa in soffitta…» Forse è
proprio quest'aura di mistero a rinfocolare il desiderio di uno scrittore – che
sta attraversando una crisi esistenziale – di ritirarsi in questo luogo
appartato per finire un sofferto saggio su Newton a cui ha dedicato lunghi anni
di studio.
Trattasi quindi di un breve e originalissimo metaromanzo,
escamotage letterario che vanta illustri antenati. Basterebbe pensare a
Pirandello con il suo Sei personaggi in cerca d'autore per citare l' esempio più importante fra tutti.
Nella foresteria di una casa di campagna che appartiene a un'antica famiglia
decaduta, il protagonista spera di trovare l'adeguata concentrazione per
potersi dedicare al compito che tanto gli sta a cuore. Ma è proprio il suo
cuore a giocargli un inaspettato scherzo con l'incontro di due donne destinate
ad incarnare opposti volti dell'amore.
Riteniamo che a bella posta il nostro scrittore le abbia chiamate Carlotta e Ottilia come le due eroine di Goethe in Affinità elettive,
tanto all'autore piacciono questi giochi di citazioni letterarie di cui aveva
già dato insistita prova in Isola con fantasmi.
La sensuale Ottilia non tarderà a prestargli le sue
grazie, inducendolo ad auto considerazioni quali: «Nella
città della carne io viaggio senza mappe, come un turista preoccupato e Ottilia era una vera e propria Venezia. Mi persi nell'ombra
azzurrina delle sue calli. Qui c'era una fissità di
sogno, un dondolio, lo sciabordio di un remo. Poi, quando meno me lo aspettavo,
mi trovai nella grande piazza alla luce del sole, e lei era uno stormo di
uccelli che si spargevano con deboli grida nelle mie braccia».
La sessualità spinta di Ottilia contrasta con la
grazia delicata di Carlotta, una bruna dall'eleganza dimessa, sempre assorta in
tormentati pensieri.
Complice del complesso sentimento che si va instaurando sarà la stanchezza
dello scrittore, reso quindi più vulnerabile e indebolito nella volontà, oltre
che illanguidito dalla liquida bellezza paesistica di una campagna illuminata
da una luce pittorica e vocatrice di atmosfere
atemporali.
Una magia, quindi, provocata da un complesso di elementi che fa vedere il
soprannaturale dove vi è solo la più banale delle realtà. («Non
stavo inseguendo qualcosa di esotico, ma l'ordinario, il più strano e il più
sfuggente tra gli enigmi.»)
Questo atteggiamento dell'animo è in perfetto stile banvilliano
che da anni ci ha abituati al suo “feroce talento” capace di immergerci
nell'imperscrutabilità del senso della vita, regalandoci sempre nuove pagine di
autentica bellezza.
Grazia Giordani
www.graziagiordani.it