Qualcuno ha ucciso il generale di Matteo Collura, Longanesi
L'antiGattopardo - Giovanni Corrao
nella Sicilia garibaldina
Certi scrittori sembrano essere rincorsi dalle trame da narrare, in un
inevitabile inseguimento che non offre loro scampo. Questa è l'immediata
sensazione che proviamo leggendo il nuovo romanzo di Matteo Collura
Qualcuno
ha ucciso il generale (Longanesi, pp156, euro 13). Ci sembra che
l'autore – giornalista culturale del Corriere della Sera – di cui abbiamo da
tempo apprezzato la folta produzione di romanzi e saggi, tra i quali:
Associazione indigenti, Il Maestro di Regalpetra,
Eventi, In Sicilia e Alfabeto eretico, non abbia potuto sottrarsi all'invito di
quanti lo sollecitavano a mettere nero su bianco l'insabbiata vicenda dell' affascinante e controversa figura di Giovanni Corrao, il generale, caro la cuore di Garibaldi,
“precursore dei Mille”, un eroe avvolto in vita e in morte, dentro aloni di
irrisolto mistero. L'ispiratrice più forte di questa
sua biografia romanzata – che finisce piuttosto con l'essere un affresco di
Sicilia garibaldina come in nessun testo accreditato avremmo mai potuto leggere
- è stata certamente un' agghiacciante fotografia. Per cui
leggiamo: “Una fotografia lo ritrae, cadavere mummificato, novantasette anni
dopo la morte. Il generale è tra due uomini, impettiti e seri,
consapevoli, nell'espressione grave, di essere immortalati in compagnia di un
eroe cui la Storia
finalmente si è degnata di riconoscere la legittima gloria. Ho
sotto gli occhi la foto e continuo a ripetermi che non ho mai visto nulla di
più assurdo, di più macabro; nulla di più grottesco e nello stesso tempo di più
ingenua e caricaturale messa in scena”. Va da sé che la mummia del
generale, ritratta tra due parenti, dopo il ritrovamento nelle catacombe dei Cappuccini di Palermo, abbia tanto impressionato lo
scrittore da indurlo a minuziose ricerche e ricostruzioni di misconosciuti
avvenimenti, contagiando anche noi lettori di una curiosità sempre più viva,
man mano che si procede nella lettura di pagine abitate da sospetti, congiure,
folklore popolare; l'udito scosso dal fragore di cruente battaglie, l'olfatto
carezzato dal profumo dei giardini d'arance, lo sguardo ammaliato dal fascino
voluttuoso di un Meridione di allora e di adesso, espresso dall'autore con
grazia musicale.
Il profilo di questo “Generale dei picciotti”, in gioventù saldatore di scafi,
abile calafatato che “aveva buttato via quel mestiere d'oro per correre dietro
all'ingannevole sirena della rivoluzione”, sbarcando a Messina per organizzare
la rivolta dei Siciliani, ottenendo il sostegno dei potentati locali alla
spedizione dei Mille, esce a tutto tondo, possente nella figura fisica di
tenebroso gigante innamorato del rischio e dell'avventura, calunniato
ingiustamente dell'assassinio – per invidia – dell'amico Rosolino Pilo, “cagliostresco” in alcune sue consuetudini di vita
esoteriche, sprezzante del pericolo, assai stimato e amato dall'eroe dei due
mondi. Per alcuni versi anche contraddittorio questo garibaldino sui generis
che – quando l'esercito governativo gli propose di arruolarsi col grado di
colonnello, accettò la nomina diminuita, rispetto a quella rimasta integra di Bixio ed altri che entrarono nell'Arma col titolo di
generale – dimostrando una certa confusione d'idee, poca coerenza con la sua
statura naturale di spirito libero, non irreggimentato. Ma la divisa regolare
andava stretta al nostro indisciplinato condottiero che non tardò a
spogliarsene con rinuncia dei vantaggi annessi.
Fin dalle prime righe della narrazione colluriana,
dentro cui trovano posto suggestivi cammei di Crispi, Bixio, Garibaldi, Mazzini
e Rosolino Pilo, rivisitati in chiave umana, lontana dalla visione dei testi
scolastici, sentiamo vibrare l'interrogativo rimasto irrisolto sulla morte
dell' “antiGattopardo siciliano”.
Chi era veramente quel Giovanni Corrao? Si era
proprio rassegnato alla vita di placido agricoltore, succeduta a quella di
condottiero o covava ancora propositi di rivolta contro l'ingratitudine
istituzionale di promesse non mantenute nei confronti della Sicilia? Sarebbe
stato un riconosciuto eroe risorgimentale questo “indomabile garibaldino cui le
sconfitte non avevano scalfito i battaglieri propositi” se un pretestuoso
silenzio non l'avesse cancellato dai libri della Storia? Chi gli ha tolto la
vita con due colpi di lupara, proprio in prossimità dell'anniversario della
battaglia abortita in Aspromonte? Collura ci induce
ad uniformarci alla sua persuasione di un delitto di mafia, su commissione
dello Stato. Perché Corrao era diventato scomodo.
Perché Corrao era un capopopolo pericoloso a cui
furono tributati funerali esageratamente solenni e poi l'imbalsamazione nel
convento dei Cappuccini, murato in una nicchia,
“affinché riposasse al riparo da possibili profanazioni”.
A ricordarlo ai posteri ora c'è il monumento di Villa Garibaldi a Palermo, ma
soprattutto c'è la riabilitazione nelle appassionate pagine dello scrittore suo
conterraneo che qui ha saputo rinverdire la curiosità, restituendogli
l'usurpata fama.
Grazia Giordani
www.graziagiordani.it