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  Letteratura  »  Eredi della sconfitta, di Kiran Desai, edito da Adelphi e recensito da Grazia Giordani 03/09/2010
 

Eredi della sconfitta di Kiran Desai, Adelphi

 

Kiran Desai e l'India dei sogni irrealizzati

 


L'India sembra esser diventata di moda tutto a un tratto. Refrigerata fino a qualche anno fa dentro immagini viete e stereotipate, ora esercita un coinvolgente fascino sull'Occidente, esportando verso di noi arte, musica, cinema e letteratura, insomma cultura a tutto tondo, tanto che, in questi ultimi tempi, è tutto un fiorire di romanzi e saggi atti a proiettare un fascio di luce sul palcoscenico indiano.
Vikram Chandra - indiano di nascita e statunitense d'adozione - è in procinto di pubblicare Giochi sacri , ambientato a Mumbay, un romanzo molto corposo che si muove tra il thriller e il feuilleton, genere letterario che sta trovando nuova dimensione ai giorni nostri.
Ancora Mumbay sarà teatro del nuovo romanzo di Anosh Irani Il bambino con i petali in tasca, una favola di crudele poesia. E poi c'è Acqua di Bapsi Sidhwa che ci offre una visione nuova dell'India coloniale, da cui la regista conterranea Deepa Meta ha tratto l'omonimo film.
Degni d'interesse anche i saggi L'impero di Cindia - rielaborazione dei reportage del giornalista Federico Rampini - e Ultima India di Sandra Petrignani, libro di viaggi di tono intimistico.
Ma, in mezzo a tutto questo proliferare di letteratura nata nella terra di Gandhi, ci sembra meritare un posto d'onore - sia per la giovane età dell'autrice, Kiran Desai, che per l'originalità dei contenuti -, Eredi della sconfitta (Titolo originale: "The Inheritance off Loss", Adelphi, pp.391, euro 19,50, traduzione di Giuseppina Oneto). Con questa sua opera più che mai coinvolgente, la Desai è riuscita laddove sua madre Anita, pure molto nota in patria, non era mai arrivata, qualificandosi come la più giovane vincitrice del Booker Prize, uno dei più prestigiosi ed influenti riconoscimenti letterari al mondo, premio per ben tre volte sfiorato e mai ottenuto dalla madre .
La bella Kiran è nata in India nel 1971 e vive fra la sua terra d'origine, l'Inghilterra e l'America. Ha studiato scrittura creativa all'Università della Columbia e ha scritto apprezzati romanzi e saggi letterari. In questo suo nuovo romanzo sa offrirci - stando al giudizio della critica americana - "il romanzo migliore, più dolce e delizioso dei nostri anni". Con questo suo viaggio dentro una terra di vinti, giostrandosi tra mondi diversi e contrapposti, l'agile penna della Desai ci porta sulle pendici orientali dell'Himalaya, a Kalimpong, terra strattonata e dominata successivamente dal Nepal, dall'Inghilterra, dall'India, dal Tibet, martoriata da soprusi e guerriglie. Incontriamo subito la vita indigente di un vecchio giudice in pensione che se ne sta isolato con l'unica compagnia del suo cuoco e di Mutt, la simpatica cagnetta, suo solo amore.
Tutti i personaggi sono orfani di un sogno irrealizzato: il giudice, dopo la laurea a Cambridge, ha visto vanificarsi le speranze di una luminosa carriera, incapsulato nei miseri limiti di una sede di basso rango; il cuoco cerca consolazione nella speranza che almeno il figlio si faccia onore in America, ma la vita del suo Biju è più che sfortunata, sballottato da un datore di lavoro all'altro, anche a causa della sua poca abilità di fornaio.
L'ala della speranza sembra finalmente volare alta sul misero terzetto con l'arrivo della nipote diciassettenne del giudice: una ventata di primavera a illuminare quel grigio inverno. La salvifica Sai diventa epicentro di un terremoto narrativo che sa toccare ogni direzione, raggiungendo ogni latitudine, dalla New York degli anni Ottanta - dove lavora Biju - alla Cambridge degli anni giovanili del vecchio giudice, fino alla piazza Rossa dove vola lo Sputnik, terra in cui si è interrotto il sogno astronautico del padre di Sai.
Non mancherà la passione, sbocciata tra la giovane e il suo precettore, l'affascinante Gyann, in questo romanzo dal taglio suggestivo, che sa sottolineare, con poetico verismo, i problemi rimasti irrisolti di un'India che non ha dimenticato le angherie del colonialismo e che ancora non ha saputo appianare la sperequazione dei ceti sociali. Ironia e senso del comico stemperano l'amarezza del tema sociale, regalandoci il dolente, ma non disperato ritratto di un continente che sta risalendo la china.

Grazia Giordani

 

www.graziagiordani.it

 

 

 
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