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  Letteratura  »  I tuoi cento anni (a Cesare Pavese nel centenario della nascita), di Franco Seculin 09/09/2010
 

I tuoi cento anni

(a Cesare Pavese nel centenario della nascita)

di Franco Seculin

 

 

Da sempre la paura di disturbarti  mi ha tenuto lontano. In verità avrei voluto, sin dal primo momento, comunicarti la gioia per  averti scoperto e l'infinita tristezza per averti perso, dieci anni prima di averti conosciuto. Ma tu mi insegni che i confini di spazio e tempo sono soltanto un'invenzione  dell'uomo, mentre le vere realtà sopravvivono ad ogni gesto, ecco perché in un momento ti ho rivisto qui sulla soglia della camera dove attendo alle mie fatiche. Ma non eri tu solo. Dietro di te immobile, una folla di volti si affannava per primeggiare, come se fosse importante per tutti loro esserti a fianco e non dare spazio a nessuno. Mi sono alzato dalla scrivania per fermarli o dare loro un ordine di precedenza, ma tu sorridendo mi hai detto, e per la prima volta ho ascoltato la tua voce, - lasciali fare, non mi disturbano. Io li ho creati, so come sono… tutti. Devi capire la loro ansia , da quando li ho lasciati perché percorressero i sentieri del mondo, conoscessero altre anime  e si dannassero o vivessero di vita nuova , non ho più avuto un'occasione materiale per incontrarli. Ti ringrazio per averli evocati, così staremo un po' insieme e capirai il mio dolore, e non disinteresse, per averli abbandonati. Oh… certamente qualcuno deve averlo pensato, forse mi ha dipinto come un egoista, timoroso che i frutti del suo parto prevaricassero la sua persona. Non è andata così, mio caro amico.

Ancora non ci credevo. Non era possibile che lui, il mio mentore senza saperlo, si indirizzasse a me con tanta franchezza e che io potessi corrispondergli  e fargli sapere quanto avevo penato sui suoi libri e sui suoi versi per cercare di capire il perché, quando, e ora potevo averne conferma, un perché non c'era . “ Un ultimo segno… e poi non scriverò più”. Così è stato. Non è forse vero che anche per il più grande e forte degli uccelli, in natura arriva, il giorno in cui capisce che il suo volare è finito? Che le grandi ali esauste non potranno più sostenerlo nel suo volo libero?

- Dimmelo tu ti prego che è così . Io ti ho vissuto dentro. Il tuo volo per me continua ancora oggi e ti vedo, nei miei tramonti spiccare, in contro luce contro un sole che muore ogni giorno per rinascere l'indomani. Ognuno di noi sa, o crede di sapere, che il sole però non muore mai. Mi manca il coraggio di dirti che un giorno , ma non per copiarti e rendermi ridicolo anche davanti a me stesso, ho scritto : verrà la notte e avrà i tuoi occhi. Quegli occhi così protetti  da letterato qual'eri, ancora mi scrutano, a volte, alla fine di un giorno inutile. E allora mi chiedo se fu la scoperta dell'inutilità, anche di un solo giorno, a deciderti di segnare come definitivo il tuo cammino con l'abbandono della penna.

Ora che sei qui concedimi di ascoltarti ancora  e parlami  del mare. Di quel mare inteso, come disse qualcuno, come un infinito dove perdersi è dovuto.  Non è che non ci sia  la tentazione in me di procedere verso quella scoperta, ma è con te, se vuoi, e con il tuo cuore che vorrei essere toccato e travolto da questa grande verità, che,solo a volte, con le  parole qualcuno ha inteso rivelare : “… come il mare profondo ed infinito”.

- Oh sì certo... grandi e belle parole e che musica a seguirle. Ma vedi amico mio sarebbe troppo facile togliere da un invenzione poetica, anche nell'altro caso, un così grande assunto di verità. L'uomo che si pone davanti all'infinito , da sempre ha cercato di raffigurarlo, ma dimmi come si fa a rappresentare qualcosa che non si conosce? Non vorrei deluderti, come altri ho già deluso, ma insieme faremmo poca strada. Credo che solo con la morte si possa approdare al vero concetto di infinito che tanto ti angoscia. Se questo è vero,  per chi pensa a un altro mondo, allora fatti coraggio e segui quel pensatore, invocalo nella tua solitudine, quando un solo pensiero potrebbe salvarti  dall'essere , meschino e  poca cosa. C'è altro che tu possa dire di me che serva a consolare questa folla di comparse che mi preme, con urgenza, come se io mi fossi troppo allontanato?

-  Sì una sola cosa: io ero ragazzo e tu mi hai fatto uomo. Anch'io oggi so cos'è il mestiere di vivere, anche se non mi appartiene e , di questo, ti ringrazio.

 

 

 

 

 
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