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  Letteratura  »  Tante Sicilie tante Americhe, di Germana Peritore, edito da Ananke e recensito da Arcangela Cammalleri 08/10/2010
 

Tante Sicilie tante Americhe di Germana Peritore

Ed. Ananke


L'autrice in Tante Sicilie tante Americhe riprende quel Sogno americano, baluginato, tramite i riferimenti a Mario Soldati, nel testo precedente su Giacosa, è filtrato e nostalgicamente rivissuto attraverso le memorie della sua famiglia, l'immaginazione e una sensibilità affinata dalle esperienze della vita.
Come l'orizzonte si allarga alla vista di chi lo guarda e l'animo si espande a dismisura così la storia della Peritore, intessuta in un tutt'uno con i ricordi generazionali diventa la Storia che accomuna gli uomini in un percorso che di casuale non ha nulla.
La sua Sicilia, mal digerita prima, quasi amica ritrovata dopo, l'America terra d'emigrazione prima, “Sogno” mai sopito dopo, istantanee di viaggi vissuti e/o immaginati, ma ad un certo punto non ha più importanza, tutto questo e altro (la musica, colonna portante della sua vita, il cinema, complice del suo immaginario) racconta e si racconta in questo scritto di uno nessuno centomila generi...Una nessuna centomila Sicilie, a ciascuno la sua, così intima e intimamente personale per come la si vive e la si lascia vivere. Una nessuna centomila Americhe ciascuno ne sfrutti le opportunità che si presentano. Un genere, dunque, contaminato, si fa per dire, da strumenti espressivi come il cinema, la musica, la fotografia, complementari alla letteratura, ma anche dotati di vita propria e di sinestèsi che pervadono  il lettore.
Nella premessa si tracciano i tanti temi emergenti, l'emigrazione di una famiglia licatese negli U.S.A. nel corso di un secolo, gli accadimenti personali si intrecciano con quelli collettivi, in mezzo le due guerre mondiali, lo sbarco degli alleati in Sicilia raccontato in presa diretta dal padre dell'autrice …e un diario di viaggio a New York. Il cinema americano con i suoi miti e le musiche dell'epoca fanno da contrappunto al racconto, intriso di quel particolare sentimento di chi vive in un'isola e quanto quell'isola è la Sicilia; “Quella sindrome pirandelliana del figlio scambiato, che ti fa sentire in un mondo che non ti appartiene, in assoluta estraneità, come un pesce fuori dell'acqua”.
Matteo Collura dice:“In cuor proprio si nutre un sentimento di odio/disagio che alimenta rancori, disincanti, sindrome del figliol prodigo. Ogni abbandono è il pretesto per un continuo ritorno, ogni tentativo di uscirne  equivale  a entrarne sempre più in profondità. Contrariamente a quella struggente dichiarazione d'amore di Borges a Buenos Aires.“ Ho l'impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi vi sono nato”. Diventa amore ciò che prima era insofferenza e reazione. ( Sciascia).

“Dall'io al noi”. “Scrivere di sé parlando d'altro”. E' arduo, se non improbo raccontare di sé senza scadere in un mero esibizionismo dell'ego, tanto più ipertrofico in uno scrittore, quanto difficile non sottrarsi alla retorica del sentimento quando si parla del proprio patrimonio generazionale scevro da sguardi partecipi e patetici, ma la scrittrice non cade in nessuna di queste “Amene” impervietà, come, per non perdere il vizio della citazione non, però, fine a se stessa, fa la Ginzburg, che in Lessico famigliare trattiene il distacco dell'osservatore, sia pure con affetto. La capacità elettiva della Peritore, nell'endiadi degli strumenti espressivi -formali /contenutistici- sta proprio e nel controllare le vite dei personaggi della sua famiglia mantenendone letterariamente vive le imperfezioni, l'autenticità, senza mitizzazioni di sorta e nel controllare una scrittura impeccabile e limata fino all'estremo, dosando in modo sempre funzionale l'uso del dialetto ( non in quella libertà assoluta tanto all'uso camilleriano, abbiamo solo un unico esempio di lingua-dialetto o dialetto –lingua, altri sono solo “Imitazione”). Lo stile calibrato e accuratamente selezionato assume connotazioni da reportage giornalistico laddove nel fissare le emozioni, impressionare la pellicola, destinata al lettore, c'è tutta la naturale propensione al viaggio e a certi viaggi; come sequenze cinematografiche scorrono davanti strade, palazzi, negozi…visti ed intravisti, colori, odori, umori di quei paesaggi mentre note musicali accompagnano queste visioni e fanno da contrappunto alla materia narrativa. E' una scrittura in viaggio, nella memoria di ieri e in fieri di oggi come l'immaginazione filmica ed onirica dell'autrice. Trovo geniale l'idea del prologo, un passo daIl cavaliere e la morte” di Leonardo Sciascia…e squisitamente poetica l'immagine che chiude il libro di chi davanti alla grandiosità di certi paesaggi, l'imperversare degli elementi naturali trasforma l'essere in un simbolo immoto e perenne. Nel mezzo, in una similitudine ardita, il mare, l'Oceano ad ovest e il Mediterraneo al sud; ma il mare nostro diventa il mare mio, quello di Licata, la città natale della scrittrice, o viceversa. Quel mare, presenza dominante della sua vita di bambina, i ricordi del mare di Licata in tempesta sono quelli ad impressionarla particolarmente e a guardarlo da prospettive opposte. Non voglio raccontare la trama e analizzare le persone-personaggi delineati, interessa chi legge, invece, trovo interessante sottolineare di questa breve opera narrativa il flusso di riflessioni che può suscitare, i rapporti intercorrenti tra il punto di vista del soggetto narrante e quelli tanti quanti dei lettori, quel senso non tanto velato di certe atmosfere del passato ormai perdute che solo la memoria può riportare alla luce, quel tempo di come eravamo e di cui si stanno perdendo le tracce…Quando uno scritto non muore nel dimenticatoio dopo la lettura, ma riverbera un continuum mentale nel lettore, una vibrazione emotiva, è perché chi l'ha scritto idealmente e perché no, intenzionalmente, ha privilegiato l'oggetto del suo lavoro in un rapporto ideale tra l'io e gli altri. La scrittura, quando non si rinchiude in se stessa e non è autoreferenziale, non è un esercizio solipsistico, un concentrarsi su se stesso nel tortuoso districarsi di pensieri, sentimenti, ma paradossalmente diventa un veicolo relazionale ed altamente socializzante e comunicativo.


 

 

Imperfezione

Non c'è pace per chi

alza le vele e

volta le spalle

alla sua imperfetta isola.

Non c'è nostalgia per chi

trasportato dal tempo

ormeggia,

alfine stanco,

i suoi pensieri,

in quella terra tanto

a lungo sdegnata.

 

 

Germana Peritore, nata a Licata, si è laureata in Lettere moderne presso l'università di Palermo. Trasferitasi in Piemonte, ha insegnato Letteratura italiana e latina. Ha prodotto testi e sceneggiature con il Laboratorio Teatro Settimo per l'Assessorato alla Gioventù della città di Torino. Vive e lavora a Torre Canavese. Per i tipi di Ananke ha pubblicato Giuseppe Giocosa. Dai castelli canavesani al sogno americano (2006).

Mi fregio di essere amica dell'autrice e invito alla lettura chi ama la lettura e i viaggi e va alla ricerca del tempo perduto…per recuperarne la memoria.


Arcangela Cammalleri

 

 

 

 
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