Tante
Sicilie tante
Americhe di Germana Peritore
Ed. Ananke
L'autrice in Tante Sicilie tante Americhe riprende
quel Sogno americano, baluginato, tramite
i riferimenti a Mario Soldati,
nel testo precedente su Giacosa, è filtrato
e nostalgicamente
rivissuto attraverso
le memorie della sua famiglia, l'immaginazione e una
sensibilità affinata dalle esperienze della
vita.
Come l'orizzonte si allarga alla vista di chi lo guarda e l'animo
si espande a
dismisura così la storia
della Peritore,
intessuta in un tutt'uno con i
ricordi generazionali diventa
la
Storia che accomuna
gli uomini in un percorso che di casuale non ha
nulla.
La sua
Sicilia, mal
digerita prima,
quasi amica ritrovata dopo, l'America
terra d'emigrazione
prima, “Sogno” mai sopito dopo, istantanee di viaggi
vissuti e/o immaginati, ma ad un certo punto non ha
più importanza,
tutto questo e altro (la musica,
colonna portante
della sua
vita, il cinema,
complice del suo immaginario) racconta e si racconta in questo scritto di uno
nessuno centomila generi...Una nessuna
centomila Sicilie,
a ciascuno
la sua,
così intima e intimamente personale
per come la si vive e la si lascia vivere. Una
nessuna centomila Americhe ciascuno ne sfrutti le opportunità che si presentano. Un genere, dunque, contaminato, si fa
per dire, da strumenti espressivi
come il cinema, la musica,
la fotografia, complementari
alla
letteratura,
ma anche
dotati di vita
propria e di sinestèsi che pervadono il lettore.
Nella premessa
si tracciano
i tanti temi emergenti, l'emigrazione di una
famiglia
licatese negli U.S.A. nel corso di
un secolo, gli accadimenti personali
si intrecciano con quelli
collettivi, in mezzo le due guerre mondiali,
lo sbarco degli alleati
in Sicilia raccontato in presa
diretta dal
padre dell'autrice
…e un diario di viaggio a
New York. Il cinema americano
con i suoi miti e le musiche dell'epoca
fanno da
contrappunto al
racconto, intriso di quel particolare
sentimento di chi vive in un'isola e
quanto quell'isola è la Sicilia;
“Quella sindrome pirandelliana del figlio scambiato, che ti fa
sentire in un mondo che non ti appartiene, in assoluta estraneità,
come un pesce fuori dell'acqua”.
Matteo Collura dice:“In cuor
proprio si nutre un sentimento di odio/disagio
che alimenta
rancori, disincanti, sindrome del figliol prodigo. Ogni abbandono
è il pretesto per un continuo ritorno, ogni tentativo
di uscirne equivale
a entrarne
sempre più in profondità. Contrariamente a
quella struggente dichiarazione
d'amore di Borges a Buenos Aires.“ Ho l'impressione che la mia nascita sia alquanto posteriore alla mia
residenza qui. Risiedevo
già qui, e poi vi sono nato”.
Diventa amore
ciò che prima era insofferenza
e reazione. ( Sciascia).
“Dall'io al noi”.
“Scrivere di sé parlando d'altro”.
E' arduo, se non improbo raccontare
di sé senza scadere
in un mero esibizionismo dell'ego, tanto
più ipertrofico in uno scrittore, quanto
difficile non sottrarsi alla
retorica del sentimento quando si parla del proprio patrimonio
generazionale
scevro da sguardi
partecipi e patetici,
ma la
scrittrice non cade in nessuna di queste “Amene” impervietà, come, per non
perdere il vizio della citazione non, però, fine a
se stessa, fa
la
Ginzburg, che in Lessico
famigliare
trattiene il distacco dell'osservatore,
sia pure con affetto.
La capacità elettiva
della Peritore,
nell'endiadi degli strumenti
espressivi -formali /contenutistici-
sta proprio e nel controllare le vite dei personaggi
della sua
famiglia
mantenendone letterariamente
vive le imperfezioni, l'autenticità,
senza mitizzazioni
di sorta e nel controllare una
scrittura impeccabile e limata fino all'estremo,
dosando in modo sempre funzionale l'uso del dialetto
( non in quella libertà assoluta
tanto all'uso
camilleriano, abbiamo solo un unico esempio di lingua-dialetto
o dialetto –lingua, altri
sono solo “Imitazione”). Lo stile calibrato
e accuratamente selezionato
assume connotazioni
da reportage
giornalistico laddove nel fissare
le emozioni, impressionare la pellicola,
destinata
al lettore, c'è tutta la naturale
propensione al viaggio e a
certi viaggi; come sequenze cinematografiche
scorrono davanti
strade, palazzi, negozi…visti ed intravisti,
colori, odori, umori di quei paesaggi mentre note musicali
accompagnano queste visioni e fanno
da contrappunto
alla
materia
narrativa. E' una
scrittura in viaggio, nella
memoria di ieri e in fieri di oggi
come l'immaginazione
filmica ed onirica dell'autrice.
Trovo geniale l'idea del prologo, un passo
da “Il cavaliere
e la morte” di Leonardo Sciascia…e squisitamente
poetica l'immagine
che chiude il libro di chi davanti alla grandiosità
di certi paesaggi,
l'imperversare degli elementi naturali
trasforma
l'essere in un simbolo immoto e perenne. Nel mezzo, in una
similitudine ardita, il mare,
l'Oceano ad ovest e il Mediterraneo
al sud; ma
il mare nostro diventa il mare
mio, quello di Licata, la
città natale
della scrittrice, o viceversa. Quel mare,
presenza dominante
della sua
vita di bambina, i ricordi del mare
di Licata
in tempesta sono quelli ad impressionarla particolarmente e a
guardarlo
da prospettive opposte. Non voglio raccontare
la trama e analizzare le persone-personaggi
delineati, interessa chi legge, invece, trovo interessante sottolineare
di questa breve opera narrativa il
flusso di riflessioni che può suscitare,
i rapporti intercorrenti tra il punto di vista
del soggetto narrante e quelli tanti
quanti dei lettori, quel senso non tanto velato
di certe atmosfere del passato
ormai perdute che solo la memoria
può riportare alla luce, quel tempo di come eravamo e di cui si stanno
perdendo le tracce…Quando uno scritto non muore nel dimenticatoio dopo la
lettura, ma
riverbera un continuum mentale nel lettore, una
vibrazione emotiva, è perché chi l'ha
scritto idealmente e perché no,
intenzionalmente, ha privilegiato
l'oggetto del suo lavoro in un rapporto ideale
tra l'io e gli altri. La
scrittura, quando
non si rinchiude in se stessa e non
è autoreferenziale, non è un esercizio solipsistico, un concentrarsi su se stesso nel tortuoso districarsi di pensieri, sentimenti, ma paradossalmente
diventa un veicolo relazionale
ed altamente
socializzante
e comunicativo.
Imperfezione
Non c'è pace
per chi
alza le vele e
volta
le spalle
alla sua imperfetta
isola.
Non c'è nostalgia per chi
trasportato dal tempo
ormeggia,
alfine stanco,
i suoi pensieri,
in quella terra tanto
a lungo sdegnata.
Germana Peritore, nata a Licata, si è
laureata in Lettere moderne presso l'università di Palermo. Trasferitasi in Piemonte, ha
insegnato Letteratura italiana e latina. Ha
prodotto testi e sceneggiature con
il Laboratorio
Teatro Settimo per l'Assessorato alla Gioventù della
città di Torino. Vive e lavora a Torre
Canavese. Per i tipi di Ananke ha
pubblicato Giuseppe Giocosa. Dai castelli canavesani
al sogno americano (2006).
Mi fregio di essere amica dell'autrice
e invito alla
lettura chi ama la
lettura e i viaggi
e va alla ricerca
del tempo perduto…per recuperarne la memoria.
Arcangela Cammalleri