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  Letteratura  »  Ladro di poesia, di Franco Seculin 08/10/2010
 

Ladro di poesia

di Franco Seculin

 

Grido

Non avere un Dio
non avere una tomba
non avere nulla di fermo
ma solo cose vive che sfuggono -
essere senza ieri
essere senza domani
ed acciecarsi nel nulla
- aiuto –
per la miseria
che non ha fine –

 10 febbraio 1932

 

Non credo di violare nessun diritto o copywright  che dir si  voglia presentando l'immagine di questo dolcissimo viso. Il volto di Antonia Pozzi poetessa suicida all'età di ventisei anni…

“ All'alba pallidi vedemmo le rondini/sui fili fradici immote/spiare cenni arcani di partenza…”

Mi sono imbattuto in lei quasi per caso, per avere letto uno stralcio di una sua memoria evocante fra le righe i suoi rapporti con l'idea di Dio e con la non presente necessità di sentirlo se non in un eventuale futuro: “al bisogno”. Ma leggendo quelle righe io non sapevo chi fosse, né potevo immaginare quanto spazio vitale in quei pochi anni vissuti nella ricerca di una libertà assoluta che solo il comporre versi poteva riservarle e per così poco tempo. Così la mia natura mi trascina a volte in piacevoli scoperte o sorprese che solo posso provare avven-turandomi sui sentieri della poesia come modesto fruitore. Al di là dei grandi nomi, e mi sovviene il primo conosciuto , della poesia femminile, Gaspara Stampa, e dei segnali ricevuti con ritardo, ma solo per citare, da Silvia Plath e Erika Jong, devo dire che, senza nessuna ambizione per accostamenti non voluti, il mare magnum della poetica femminile mi affascina in modo particolare e …ancora una volta sono stato premiato. Travolto da una prima lettura dei versi di questa donna, fuori da un mondo che avrebbe dovuto appartenerle, ho tirato a far mattina, al suono di una sveglia che a pochi oziosi insonni appartiene…il canto degli uccelli che anticipa l'aurora, dal vivo, a cinquanta metri dalla mia postazione di nottambulo scrivano.

E prima di arrivare a queste righe mi sono onestamente procurato la materia, ma non scorrendone la bibliografia o andando a sfrugugliarne la vita per  sapere, se possibile, il perché e il come di una decisione irreversibile. Dovevo leggere qualcuno dei suoi versi e così sapere tutto quello che conoscerla avrebbe significato per me, in questo nuovo impensato incontro. Il mio leggere assomiglia a un furto con destrezza. Io sono un ladro, sì, ma affamato di parole: quelle che con certa cadenza e indeterminata frequenza raccontano la vita o la morte, l'esistenza comunque in sé considerata, con i colori di un universo che solo il poeta può cogliere, scegliere e cantare. E in questo, come ho già detto sono stato premiato con un ricco bottino che non troverà mai un ricettatore: Antonia Pozzi. So benissimo di non poter competere con gli addetti ai lavori, con i fiumi di elaborati e tesi sull'opera di questa giovane e lirica poetessa assurta come si conviene, solo dopo anni dal suo suicidio, a una consacrazione dovuta e, da un po' di tempo, ritenuta una delle voci poetiche più risolute e significative del'9oo. Mi va di ricordare, senza fare torto a nessuno, a chi volendo potrei solo lasciare ammirare il frutto della mia destrezza, alcuni titoli – quando ci sono – e le immagini che più mi hanno attratto per la loro smagliante lucentezza in un universo poetico, per me, tutto da scoprire.

“Abbandonati in braccio al buio/monti/m'insegnate l'attesa:/all'alba – chiese/diverranno i miei boschi./Arderò – cero sui fiori d'autunno/ tramortita nel sole.”

E poi la forza delle immagini suscitate dai versi de “Il cane sordo”: questa strana creatura che sa di umano, testimone di una dignità profonda e padrona di certezze assolute e che…

“Sordo per il gran vento/che nel castello vola e grida/è divenuto il cane./Sopra gli spalti – in lago/ protesi – corre,/senza sussulti:/né il muschio sulle pietre/a grande altezza lo insidia,/né un tegolo rimosso./Tanto chiusa e intera/ è in lui la forza/ da che non ha nome/più per nessuno/ e va per una sua/segreta linea/libero.”

…tanto mi parla e mi racconta di sé: un Antonia che il fiume della libertà della natura trascina lontano dall'atonia dei suoi giorni.

 

E per finire questo breve raccontare di una notte trascorsa in meravigliosa compagnia, quasi che la mano di Antonia Pozzi si sia poggiata sulla mia spalla per poter sbirciare, curiosa, lasciatemi descrivere con i versi di “Novembre” l'atmosfera di un destino già intravisto, forse voluto, in ipotesi, con parole che evocano una non facile scelta, accompagnate dall'esile presenza di una figura, fragile e gentile, che vende fiori designati sotto un cielo che le appare ormai già lontano.

E poi- se accadrà ch'io me ne vada/resterà qualche cosa/ di me/nel mio mondo -…un tenue fiato di bianco/ in cuore all'azzurro -/Ed una sera di novembre/ una bambina gracile/ all'angolo di una strada/ venderà tanti crisantemi/ e ci saranno le stelle/gelide verdi remote-…qualcuno cercherà i crisantemi /per me/nel mondo/quando accadrà che senza ritorno/io me ne debba andare.

Antonia Pozzi ( Milano, 13 febbraio 1912 – Milano 3 dicembre 1938)

 

 
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