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  Canti celtici  »  Hanno scritto dei Canti celtici 22/11/2007
 

Hanno scritto dei Canti Celtici

 

Rino Armato – Mail del 24 ottobre 2007

Ciao Renzo,

ho appena finito di leggere i tuoi Canti Celtici: non c'era titolo più appropriato per tale raccolta di liriche che sembrano proprio rievocare quei vecchi, melodiosi canti.

Mi sono piaciuti, hanno un qualcosa di particolare, così come il tuo verseggiare, spesso melanconico. Tempo, Immagini, Ricordi, Vita, Guerra, Sogni, sono temi che tratti davvero sapientemente, dove le parole sono madide di sentimenti che si mescolano armoniosamente.

Fantastico quel verso che dice:

Già dormirò, ma nel sogno/ scivolerò su quest'acqua silente.

sembra realmente vedere la scena, come ne:

i voli de gabbiani disegnano le strade/ che gli dei del giorno percorrono/ per andare al riposo della notte.

La mia preferita è Polvere, che si rispecchiano i tempi del passato che si confondono nel presente.

Grazie, ti sono grato avermi far letto queste delicate poesie.

Un abbraccio e

Chi ignora il passato, chi non s'accorge del presente,/ passa senza lasciar traccia.

Rino

 

 

Cinzia Pierangelini il 21 ottobre 2007 sul suo blog

http://cochina63.splinder.com/

 

Renzo Montagnoli è diventato attraverso il web (non ci conosciamo e forse non ci conosceremo mai) un caro amico, apprezzabile per l'equilibrio dei giudizi che lo contraddistingue e l'umiltà e una grande generosità. Penso anche a queste cose mentre, una al giorno, leggo le sue poesie. Poesie che lo riflettono a perfezione e che lasciano dentro, con un alone di nostalgia dolorosa, anche la promessa d'una speranza. Come di chi camminando nel fango scorga più in là, a oriente, uno sprazzo d'azzurro nel cielo e vi si diriga tenace, non ancora sconfitto. Un grazie, perciò, per questa lettura dolce che mi tiene compagnia.

 

 

Enzo Lombardo - mail del 25 ottobre 2007

Caro Renzo,

..

Passando ad altro voglio dirti che mi ha impressionato molto una poesia del tuo libro (Guerrieri sull'acqua) il cui incipit da una sensazione visiva che sa di miracolo: "Sorge presto questa sera la luna / sembra emergere dall'acqua del canneto...". La definirei una poesia "dinamica". Sarà la metrica, saranno le parole usate, non so, ma sembra di aprire una finestra e guardare quei guerrieri antichi, sentire lo sciabordio dei remi nell'acqua, vederne le armature scintillanti. Dalle volte che l'ho letta la sto imparando a memoria! Sto rileggendo anche le altre: in ognuna trovo spunti nuovi di riflessione.

Farti i complimenti è poco, ma gradiscili lo stesso.

Un caro saluto. A presto.

Enzo

 

 

 

Stralcio della lettera del 25 ottobre 2007 inviatami da Viboldone da Don Luisito Bianchi

 

Carissimo Renzo,

ho sedimentato, ho riletto, ho rimirato, e se volessi scegliere un verso che dica l'immersione nei sentimenti che ho provato, eccolo, e bellissimo: “Fionda la luce a fugare le tenebre”, ambivalente perché anche il buio fionda a fugare il giorno…i tuoi versi mi sembrano un inno al tempo e alla sua assenza, trovando nel momento che fissa il passaggio del colpo di fionda, la verità del sogno e nella realtà, il cairos (il tempo opportuno, favorevole), che elimina il cronos, divoratore dei suoi figli.

Il  passato che riemerge r traccia le vie del futuro, la presa di coscienza che “un altro mondo è profondo in noi”, che entri nella “casa del tempo infinito”, il cairos esterno, l'uomo senza tempo….che riemerge dall'oscurità.

……..

Grazie, caro Renzo, di questa “spiritualità” incarnata, l'unica che sta ritta sulla terra.

 

Luisito                         

 

 

Patrizio Spinelli – intervento in ordine alla recensione scritta da Miriam Ballerini – sul blog L'armonia delle parole. 

21 Novembre 2007 - 14:55

 

Se un libro di poesie, riceve così tanti commenti e recensioni a pochi giorni dalla sua pubblicazione, vuol dire che ha centrato il suo obbiettivo: quello di parlare al cuore e alla mente della persone.
Se nella presentazione Patrizia Garofalo, ravvisa in queste liriche, una trasposizione del sogno come rifugio del poeta davanti ad un mondo in cui sono tramontati tutti i valori umani; di una società in caduta libera verso il decadimento morale e la catastrofe planetaria, a mio modsto avviso, in questa silloge pare che Renzo, non fino quanto consapevolmente, abbia attinto alla tecnico dello "straniamento", per portare il lettore a interagire "fattivamente" oltre che emotivamente di fronte alla riproposizione in chiave fantastica del mondo di un lontanissimo popolo come quello dei Celti, che viveva a strettissimo contatto con la Natura, e dalla quale si faceva guidare come dea e madre " numinosa", nella loro vita quotidiana. E proprio in questo odierno, quanto insensato "distacco" dalla Natura, che ci fa perdere, pare dirci il poeta, quel mondo di sentimenti, di quella solidarietà, di comunità, di quei valori e principi che dovrebbero essere consacrati come valori fondanti in tutta l' umanità, che invece soccombe e affonda sotto la spinta della barbarie, dell' egoismo e del sopruso, dell' odio, della prevaricazione e della menzogna, e dello sfruttamento, verso la sua distruzione. Forse, leggendo questi versi, che sono un inno a tutto ciò che era di più sacro ad un popolo scomparso, possiamo riacquistare quell' umana "pietas", riavvicinarsi ai valori ancestrali e intramontabili dell' uomo, che davvero ce n'è bisogno.

 

 

Fabrizio Corselli – mail del 22 novembre 2007 – h. 11,30

Carissimo

 Renzo,

il libro è bellissimo. La cosa che più colkpisce è la
formidabile cadenza dei versi mista alla grande
atmosfera evocata. E bravo il mio caro Renzo.

..

Fabry

 

Elisa Piano – mail del 26 novembre  2007 – h. 11,26

 

Caro Renzo,

Sono poesie dell'anima le tue, che rispecchiano il desiderio di spiritualità e di eterno che l'uomo oggi fatica a trovare.

   Bisogno credere nella Poesia se si crede nell'Uomo!

                     Grazie, Renzo, per questa tua fede.

 

                                         Elisa 

 

 

Valentino Rocchi – mail del 19 marzo 2008 h. 08,22

 

Caro

Renzo,
ho letto e riletto i tuoi canti. Non ho titolo, io scrittore terragno, a dare giudizi su chi è capace di volare tanto alto. Una domanda però voglio fartela: quante vite hai vissuto? Il tuo canto solenne che par confondere realtà e visione onirica sembra cercare, accompagnato da un suono lontano e suadente, la speranza di far riaffiorare quel gene di una vita passata da trenta secoli, nascosto nel tuo DNA. Hai rifiutato di morire quel giorno, in quella vita, ed oggi provi il timore che questo tuo resistere e rivivere almeno nel ricordo possa rivelarsi vano. Il tuo "testamento" lo dice chiaramente. Io posso solo fare una previsione: questo, grazie alla tua POESIA non potrà accadere. Mai.

                                               Valentino

 

 

Cesarina Bo – mail del 25 marzo 2008 h. 10,27

 

Mi chiedi dei tuoi Canti Celtici. Non ti ho mai detto nulla perché non so commentare le poesie, anzi mi avvicino ad esse come se stessi sui carboni ardenti. In realtà non mi piacciono quelle poesie di cui non riesco a capire il significato perché troppo ermetiche e, per me, irritanti.

Nelle tue questo non mi è successo e sono riuscita a
sentire una certa musicalità, dolce, che mi accompagnava nella lettura senza dover interrompermi in continuazione: hai presente come quando si è sospinti da un lieve vento che ti spinge? Ecco!
A me sono piaciuti e te lo dico con sincerità. Resta la premessa che amo di più la prosa, ma questo è un altro paio di maniche:-)

                                               Cesarina

 

Flavio Ermini – mail del 25 marzo 2008 – h. 15,39

 

Caro

Montagnoli,
ti ho scritto molto tempo fa sui Canti celtici. Ricordo che sono stato sui testi per un bel po', dopo aver avuto il documento sulla scrivania del computer per giorni.
Mi era piaciuta l'atmosfera sognante di cui il testo è pervaso. Ricordo anche che avevo letto una tua intervista in proposito, dove avevo trovato delle indicazioni di lettura che mi trovavano d'accordo.
Mi spiace che il messaggio non ti sia arrivato.
Un caro saluto

Flavio

 

Gian Paolo Serino – mail del 30 marzo 2008 – h. 01.06

Ciao Renzo,…..

Per quanto riguarda i canti celtici e di fulvio ricordo, non sono a casa e non ho schermo sotto gli occhi, che il primo o secondo intervento di luca sulla scrittura aveva un sentire e una passione viscerale ma poetica molto vicina ai canti celtici.
Canti di cui ti ho gia' scritto in una mail cosa ne pensavo, ma ripeto (chiaramente e' una visione del tutto personale): si sente una voce, e non e' poco davvero (il problema della poesia e' proprio questa mancanza), si sente ed e' potenza, e' in potenza e non cieca, guarda al lettore senza strizzargli l'occhio. In molti passaggi invece si sentono troppi echi da (de)formazione,

un substrato tra lo scolastico e il naturalismo del prosare che ne polverizza e impolvera la voce.
Questo quello che (ri)penso.

 

                                               Gian Paolo

 

 

 

Mario Malgieri – mail del 5 aprile 2008  - h. 15,44

 

Inizio col dirti che l'insieme della raccolta è molto omogeneo, stile e tematiche sono compatti, tutto è percorso dal filo conduttore di una malinconia che spesso si fa tristezza, ma con accenti epici, mai per il gusto delle lacrime fini a loro stesse.

 Il tuo linguaggio è ricco, le immagini ne escono vive, seppure avvolte dalle velature del passato e spesso, modificate dal ricordo.

Tra tutte le poesie, due mi sono piaciute particolarmente, non a caso sono tra le più brevi, dove credo tu riesca a tradurre al meglio la tua ispirazione in versi incisivi e musicali e dove il lettore viene trasportato senza sforzo apparente in un mondo parallelo, emozionante e tragico.

Parlo di "Polvere", un accorato canto sull'inutilità della morte eroica, e, "Il mormorio del vento" dove "una nenia lontana" mi evoca il suono lamentoso di una cornamusa, a me supremamente caro, e nella sua visione quasi animistica della brughiera mi riporta alle mie indimenticate esperienze di viaggio in quei luoghi magici ma pervasi dal senso della morte.

 

Tutti i miei sinceri complimenti per questa tua opera, caro amico.

 

Un abbraccio

Mario

 

Grazia Giordani – mail del 10 settembre 2008

H. 16,21

 

Caro Renzo, penso che un'introduzione così acuta e accurata come quella di Patrizia Garofolo e un'analisi estetica tanto intelligente come quella di Alberto Carollo - nostro comune amico - dovrebbero più che soddisfarti. Comunque, se tieni anche al mio pensiero - premettendo che in veste di critico mi sono occupata sempre solo di prosa (romanzi e saggistica) - posso assicurarti che molti sono gli elementi accattivanti nella tua scrittura in versi.

Innanzi tutto il senso del paesaggio intimo ed esteriore e poi la musicalità. Ovvero un delicato lirismo che ti è proprio, atto a far prevalere l'emozione, come a dire una scrittura "cardiaca", quasi il battito del tuo cuore risuonasse nella parola scritta (cfr sorge presto questa sera la luna,/sembra emergere dall'acqua del canneto,/in quell'immobilità del tempo/che è il passaggio dal giorno alla notte...) Quindi, la forza del sogno salvifico in quanto capace di offrirci una zattera, una barca di salvataggio per superare il mare delle odierne delusioni (E la mente corre all'indietro, scavalca i millenni del tempo,/a indovinare immagini di genti ormai dimenticate...) E sarà proprio la tua vis poetica a ripescarne il ricordo, riscoprendo quella "continuità" di cui sottolinei il valore. Lirica di nostalgie, la tua, ma aperta alla speranza perché ancor domani sorgerà il sole.

 

Complimenti e buon lavoro.

Grazia

 

 

 

Gavino Puggioni – mail dell'11 marzo 2009 – H. 10,12

Buongiorno Renzo,

Ti  invio mio piccolo pensiero  su CANTI CELTICI e un caro saluto.

 

CANTO CELTICO è la prima poesia di questa silloge, IL SOGNO DEL VECCHIO è l'ultima.

Non so se per una precisa e voluta impaginazione ma tra l'una e l'altra si snodano i versi di Renzo Montagnoli, in un susseguirsi di emozioni e sensazioni, trovate e provate sulla propria pelle,  che sanno di autentico, se non viscerale, amore verso la natura e il suo principale compagno, che è l'Uomo nella visione onirica più alta.

Nel Canto Celtico,"nella  lenta melodia di una cetra" pare che l'alba si predisponga a ricevere l'ineffabile bellezza del tramonto quando ancora l'antico suonatore della lira pizzica l'evolversi malinconico del giorno.

C'è la nascita, la vita, la speranza di questa terra-uomo proiettata in "un futuro senza memoria" dove l'umanità cerca la luce, ora offuscata da nebbie malefiche, già pronta a rituffarsi nelle tenebre della notte.

Ne "Il sogno del vecchio" è "il vento del tempo" che si fa padrone della nascita, della vita, della speranza e in queste entità l'Autore fa navigare i suoi versi e li pennella in una sequela di quadri dove i bambini giocano, dove gli amori splendono, dove l'acqua disseta il custode della terra, dove la famiglia è riunita intorno al desco. Dove le albe e i tramonti si alternano dentro, nel tempo ,che invece scorre sopra ogni cosa, lasciandovi magari carezze e tenerezze per alleviare dolori o tristi eventi.

E "Il sogno del vecchio" riprenderà la luce del sole anche se il buio dell'eternità accompagnerà la sua nuova alba.  

 

Ciao

Gavino Puggioni

 

 

 
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