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  Bell'Italia  »  Crociera fluviale da Mantova a Venezia, di Renzo Montagnoli 18/06/2016
 

Crociera fluviale da Mantova a Venezia

di Renzo Montagnoli

 

Come molti sanno, il fiume Mincio, emissario del lago di Garda, dopo un percorso caratterizzato da rapide e da piccoli salti d'acqua fra le colline moreniche, dopo l'abitato di Goito rallenta sua corsa, fino a scorrere pacato e nei pressi della città di Mantova si allarga in quello che può essere considerato un alveo troppo grande per la sua effettiva forza, formando così tre laghetti, quello superiore, quello di mezzo e quello inferiore. Su questi specchi d'acqua funziona un servizio privato di navigazione che porta i turisti a conoscere le attrattive di una zona umida, quasi paludosa, in cui prosperano numerose ninfee e una moltitudine di uccelli di varie specie.

Per quanto possa sembrare strano, io che abito a 5 km. dalla città e che da giovane e in un non ancora lontano passato solcavo queste acque prima con una barca e poi con una canoa, fino all'11 giugno non ero mai salito su una di queste motonavi che, soprattutto nel fine settimana, vanno su e giù da una sponda all'altra. L'occasione per rimediare è stata una gita organizzata al mio paese, con meta Venezia, e così l'11 giugno sono stato uno dei settanta crocieristi che si è imbarcato al molo del lago inferiore. Quella che segue, senza avere le pretese di essere un racconto di viaggio, è la cronaca di questa mia esperienza. 

Prenotato il posto un mese prima, ero un po' titubante perche il tempo atmosferico dei giorni precedenti e quello previsto per quello del viaggio sembravano lasciare ben poche speranze: temporali, anche forti, acqua a catinelle, addirittura con grandine. Ma già all'ora fissata per l'imbarco (8,30) se il cielo non era sereno, però non era minaccioso e non c'era pioggia. In attesa di salire, tutti guardavano in su, chi timoroso, chi invece speranzoso e dato che mi ritengo pragmatico mi sono detto che tanta valeva accettare quello che sarebbe stato e che comunque, almeno in partenza, non era poi male.

La motonave, della compagnia Motonavi Andes, era un catamarano, con due ponti, di cui quello superiore scoperto, e con una capienza di 90 posti. Se non vado errato i partecipanti erano appunto settanta e quindi non c'era da star stretti come le sardine. Tolti gli ormeggi, il natante lentamente ha lasciato la riva, puntando verso il largo e quasi scivolando si è diretto alla sponda opposta, dove c'è la raffineria di petrolio da tempo inattiva. Qui apro una parentesi, pescando nei ricordi perché rammento le piccole petroliere, chiamate bettoline, che giornalmente, partendo da Marghera, risalivano il Po e poi il Mincio, trasportando il greggio. Poi, probabilmente perché il Po, in estate, ha delle magre paurose, tali da rendere difficile o impossibile la navigazione, queste piccole navi furono sostituite da uin oleodotto che adesso probabilmente finirà in ruggine. Da lì il passaggio della motonave sotto il ponte della Diga è avvenuto abbastanza in breve, considerando che il varco è veramente stretto e occorre calcolare la manovra al centimetro. Una volta sorpassata questa specie di forca caudina siamo entrati nel paesaggio incantato del basso Mincio, in quella località umida, ai bordi paludosa, che viene chiamata Vallazza. A parte i tappeti di ninfee, lì si trovano numerose colonie di cigni, abbondano gli aironi cinerini, le candide garzette, i cormorani, i gabbiani di fiume. C'è una moltitudine di volatili che, se si sta sul ponte superiore, non solo è possibile vedere, ma a volte qualcuno più ardito sfiora la nave stessa. Il corso del fiume è dolcemente sinuoso, con le rive fitte di vegetazione, che comprende anche un buon numero di salici. Oltre gli argini si scorgono campanili e nei tratti in cui sono più bassi, vale a dire già in golena, ogni tanto ci sono ville con il prato all'inglese che scende al fiume. A parte il rumore del diesel della motonave si ode solo il respiro della natura, fatto da lontani richiami e da ronzii di insetti. Dopo un po' che si naviga si ha quasi l'impressione di trovarsi lontani dalla civiltà, magari in qualche affluente del Rio delle Amazzoni, tanto è la natura che regna e non a caso l'intera zona è protetta ed è parte del Parco del Mincio.

L'unico segno di una civiltà industriale è dato da un paio di idrovore del Consorzio di Bonifica che nei periodi siccitosi aspirano l'acqua per irrigare i campi e in quelli piovosi invece riversano nel fiume quella che è in eccesso sul suolo. Sono costruzioni d'epoca e ben si integrano con l'ambiente, tanto che si finisce con l'apprezzare la loro presenza. 

Lungo tutto il percorso la voce dell'accompagnatore ha illustrato ciò che c'era da vedere e quindi si è stati ben informati. Dopo quasi un'ora di navigazione siamo arrivati a un semaforo rosso che è posto davanti alla porta vinciana a monte della chiusa di Governolo. Il Po è generalmente più basso del Mincio e la differenza di quota in estate può arrivare a 5 metri; l'11 giugno il dislivello era di m. 1,40; venuto il verde, aperta questa porta gigantesca e subito rinchiusa dopo il passaggio, ci siamo trovati in un bacino in cui l'acqua lentamente cominciava a scendere. Raggiunto il livello del Po è stata aperta la porta vinciana a valle e abbiamo ripreso la navigazione, portandoci nell'asse mediano del grande fiume. L'imponenza del corso d'acqua, le rive meno fitte di vegetazione mi hanno portato a concludere che il Mincio è molto più bello, per quanto le numerose isole e isolette del Po costituiscano una loro attrattiva, insieme ai paesi di cui si sorgono oltre l'altro argine solo i campanili delle chiese. Si tratta di Revere, Ostiglia, Sermide, Castelmassa, Occhiobello, tutte località rivierasche, ognuna delle quali ha un approdo attrezzato. Sempre navigando, a mezzogiorno è stato  servito il pranzo a base di pesce e questa è l'unica nota dolente di un viaggio peraltro bellissimo. In genere a Mantova si mangia bene, sulla Virgilio l'11 giugno si è mangiato male e non perché i piatti non fossero quelli indicati nel programma, ma perché tutto era cucinato in modo pessimo, con l'unica nota positiva dell'ottimo Custoza DOC e del caffè; per il resto meglio non dire altro. All'incirca  alle 14 siano arrivati all'approdi di Santa Maria Maddalena e lì siamo sbarcati, perché ci attendevano  due autobus per portare il gruppo dei gitanti a Sottomarina di Chioggia, dove siamo arrivati dopo circa un'ora dopo aver anche sbagliato strada. E' stata l'occasione, visto il panorama tipicamente agreste, per un riposino. Arrivati alla località balneare ci siamo imbarcati su un'altra motonave sotto una spruzzatina di pioggia, l'unica che avremmo avuto per l'intero viaggio.  Lì abbiamo trovato un'altra guida che ci ha illustrato ciò che si vedeva lungo l'itinerario in laguna. Dapprima abbiamo incontrato la lunga isola di Pellestrina, una stretta striscia sabbiosa, intensamente abitata, però, e protetta dall'erosione del mare aperto dai murazzi, un'imponente barriera granitica edificata nella seconda metà del XVIII secolo dalla Repubblica di Venezia.  A seguire abbiamo visto altre isole, cioè la piccola Alberoni e Poveglia, pure lei minuscola. Le tranquille acque della laguna, nonostante un venticello non proprio tenue, davano l'impressione di scivolare su uno specchio, ma gli occhi ovviamente erano rivolti a destra, a quel succedersi di isole, di case colorate, di campanili di chiese marittime. Dopo una quarantina di minuti abbiamo cominciato a scorgere Venezia, a cui siamo arrivati dalla parte d'accesso probabilmente più bella, cioè quella che consente di avere un colpo d'occhio su piazza San Marco e sul Palazzo Ducale. Da lì a poco ci siamo messi in fila, come in un parcheggio pieno in cui si attende che qualcuno lasci libero un posto, per attraccare alla Riva degli Schiavoni, che non erano degli schiavi grossi, ma così erano chiamati ai bei tempi della Serenissima i mercanti che provenivano dalla Dalmazia e che i veneziani chiamavano anche Slavonia o Schiavonia. Lì approdavano con le navi mercantili e avevano anche il posto fisso per esporre la loro merce. Dopo una decina di minuti di attesa abbiamo attraccato, siamo scesi e lì ci attendeva un'altra guida turistica, una bella e simpatica signora dai capelli biondi. Dato il limitato tempo a disposizione (all'incirca due ore) si è limitata ad accompagnarci in Piazza San Marco per mostrarci esternamente i suoi monumenti: il Palazzo Ducale, la Basilica, il campanile, la torre dei tre orologi, con i due mori che battono le ore, il Caffè Florian, forse il più antico al mondo (e anche uno dei più cari!). Inoltre, desiderosi di mangiare un buon gelato, anche per saziare lo stomaco gravato dal pessimo pranzo, e senza spendere un capitale, ci ha condotto, attraverso ponti e stradine, a una gelateria di cui siamo risultati tutti soddisfatti. Indi, alle 19, abbiamo lasciato Venezia a bordo di una motonave diretta a Fusina, dove ci attendevano gli autobus per il ritorno. Lì, siamo ripartiti alla volta di Mantova via autostrada, non senza aver sbagliato percorso nella zona industriale di Marghera (una vicenda anche ridicola, perché siamo andati dentro a uno stabilimento). Stanchi, ma soddisfatti siamo arrivati a Mantova alle 22,45.

 

 

Fonti: Motonavi Andes Negrini

www.motonaviandes.it

 

 

La foto a corredo del servizio è stata scattata da me e ritrae un tratto del percorso nel basso Mincio.  

 

 
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